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CUB: c'era una volta il diritto di sciopero

Di Redazione VicenzaPiù Martedi 28 Luglio 2015 alle 23:55 | 0 commenti

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Nota di Cosimo Scarinzi, CUB Vicenza Scuola Università Ricerca

Con nauseante ostinazione il governo, con il supporto di una massiccia campagna mediatica, rilancia l'iniziativa per una stretta della legislazione antisciopero, in particolare nei settori del trasporto e dell'igiene urbana. Il meccanismo retorico che viene messo in atto è sin banale: si prende qualche caso di disagio, reale o presunto, per i cittadini per additare i lavoratori come nemici dell'interesse generale.

Lavoratori contro consumatori dunque come se la gran parte dei cosiddetti consumatori non fosse composta da lavoratori e come se non fosse interesse in primo luogo dei lavoratori il buon funzionamento dei servizi pubblici.

L'obiettivo immediato di questa campagna è evidente: lo smantellamento e la privatizzazione dei trasporti pubblici locali e delle imprese addette all'igiene urbana.

Rendere pressoché impossibile la mobilitazione dei lavoratori di questi comparti favorirebbe di conseguenza questa operazione che interessa le imprese intenzionate a conquistare questi mercati e il ceto politico che gestirebbe la dismissione dei servizi.

Il dispositivo tecnico giuridico che alcuni parlamentari, in particolare Pietro Ichino e Maurizio Sacconi  da tempo distintisi come avversari dei lavoratori, propongono è in apparenza "democratico": riservare ai sindacati "maggiormente rappresentativi" e sottoporre a referendum vincolante il diritto all'indizione degli scioperi.

In realtà in questo modo si mette in opera un meccanismo micidiale che porterebbe all'impossibilità effettiva di scioperi efficaci. Basta domandarsi infatti chi gestirebbe i referendum in questione, che effetto avrebbe il frapporre tempi lunghi fra l'inizio delle procedure e l'indizione dello sciopero, che impatto avrebbe uno sciopero sottoposto a tanti vincoli.

Dobbiamo porci soprattutto una domanda radicale, la rappresentanza formale dei lavoratori misurata attraverso il numero degli iscritti a questo o a quel sindacato e ai voti in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie ha una qualche effettiva relazione con la volontà dei lavoratori stessi per quanto riguarda le richieste salariali e normative, la decisione di fare sciopero, l'accettazione degli accordi?

Nella realtà è evidente che non è così, l'iscrizione a questo o quel sindacato corrisponde di norma all'erogazione di servizi, l'elezione dei delegati RSU nel migliore di casi premia la capacità di tutela individuale a livello di reparto, e in ogni caso si tratta di una rappresentanza "a freddo" di lavoratori atomizzati che si esprimono di conseguenza come individui fra di loro separati.

Quando, al contrario, si sviluppa una mobilitazione e i lavoratori si esprimono come una comunità di lotta, la rappresentanza formale costituitasi in un periodo di passività è uno strumento generalmente inadeguato nell'espressione dell'effettiva volontà dei lavoratori a meno che non sappia porsi come strumento di questa stessa volontà.

Se oggi il governo è orientato a un ulteriore restringimento delle libertà sindacali gran parte delle responsabilità va ai sindacati concertativi, che hanno fatto del monopolio della rappresentanza e della difesa dei propri interessi di ceto l'obiettivo al quale hanno sacrificato gli interessi e libertà dei lavoratori.

Sta al sindacalismo di base e di classe, sviluppare in primo luogo sul piano della mobilitazione diretta dei lavoratori il compito di rilanciare l'iniziativa e di battere sul campo i tentativi liberticidi dell'avversario, senza dimenticare la necessità di iniziative sul piano legale e di una campagna in generale in difesa delle libertà.

A questo fine è necessaria una capacità nuova di azione unitaria e, nel contempo, di coinvolgimento dei movimenti di opposizione sociale, in particolare quelli per la difesa dei beni comuni e del diritto al welfare oggi, si pensi solo ai tagli alla sanità appena proposti, sottoposti a un gravissimo attacco.

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