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Variati: due grandi aree metropolitane per il futuro del Veneto

Di Rassegna Stampa Domenica 26 Luglio 2015 alle 17:26 | 0 commenti

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Come il bacino della Ruhr in Germania o l’area della baia di San Francisco negli Usa, così la PaTreVe e ViVRò in Veneto. Il futuro è nelle conurbazioni metropolitane secondo Achille Variati, presidente dell’area vasta (oltre che primo cittadino) di Vicenza, nonché numero uno dell’Unione province italiane. Il nuovo disegno delle autonomie locali è stato tratteggiato qualche sera fa alla Festa Democratica di Abano Terme, in occasione del dibattito «Le nuove sfide dei sindaci nella crisi» moderato da Alessandro Russello, direttore del Corriere del Veneto .

Variati, una novità alla volta: le aree vaste, intanto, stanno funzionando?
«Per la prima volta nella storia i sindaci gestiscono direttamente i servizi che erano di competenza delle Province e che non potrebbero fare capo ai singoli Comuni. Parliamo di strade provinciali, assetti idrogeologici, scuole superiori. Per questa responsabilità noi amministratori locali non prendiamo un euro, dobbiamo pure pagarci l’assicurazione, ma finalmente cominciamo a veder concretizzarsi il principio della sussidiarietà, per cui il potere va tenuto il più possibile vicino ai cittadini. Altrimenti, appena ti alzi un po’, addio controlli».
Vuole dire che il livello regionale è già troppo alto?
«Il regionalismo italiano ha sostanzialmente fallito: enti troppo burocratizzati, molto costosi, poco efficienti e largamente incapaci di fare leggi vere. Fra i motivi per cui spero proprio che il governo voglia rivedere i tagli alle aree vaste (1 miliardo nel 2015, 1 nel 2016 e 2 nel 2017, ndr. ), c’è anche il timore che le Regioni finiscano per assorbirne tutte le competenze. Finirebbe che creerebbero una sfilza di agenzie regionali per la gestione dei servizi ed interromperebbero il circuito virtuoso dei sindaci che stanno imparando a collaborare al di là dei campanili».
L’accusa di fallimento vale anche per il Veneto?
«Purtroppo non fa eccezione. È una Regione che non è sufficientemente coraggiosa nelle relazioni, tant’è vero che da vent’anni non riusciamo a raccordarci con le realtà vicine su temi quali la Valsugana, la portualità, l’Alta Velocità».
Perché dovrebbero riuscirci le aree vaste?
«Non vanno considerate per come sono adesso, perché questo è solo un passaggio, in vista della fusione in aree metropolitane. Personalmente lascerei da parte la montagna bellunese e per il resto vedrei due grandi aree metropolitane da 2-2,5 milioni di abitanti, governate da un sindaco metropolitano e da un consiglio dei sindaci, senza tutte quelle autorità di bacino dell’acqua o quegli organi di governo dei trasporti che rappresentano solo un costo. Tutto dovrebbe fare capo all’area metropolitana, che lavorerebbe direttamente con l’Europa e non ridurrebbe il Veneto ad una periferia».
A che conurbazioni pensa?
«Non certo all’attuale città metropolitana di Venezia, troppo piccola rispetto a Milano e Torino. No, abbiamo bisogno di fare massa critica per sederci ai tavoli europei. Da un lato penso piuttosto al progetto ViVRò (Vicenza, Verona e Rovigo, ndr. ). Tra me e Flavio Tosi c’è sintonia, conto che tra 2015 e 2016 succeda qualcosa di importante. Stiamo già ragionando sulle Fiere, per cui stiamo lavorando ad una novità su cui per ora non posso dire di più, ma che sarà strategica per imporre il nostro sistema a livello continentale: ma vi pare possibile che nessuna realtà fieristica italiana figuri tra le prime dieci europee? Poi stiamo lavorando anche sull’energia, guardando pure al Trentino, perché Aim e Agsm hanno bisogno anche di Dolomiti, soprattutto se decideranno di andare in Borsa. Dall’altro lato penso poi alla PaTreVe (Padova, Treviso e Venezia, ndr. )».
Massimo Bitonci ha già detto che non la vuole.
«Allora che intanto vadano avanti Giovanni Manildo e Luigi Brugnaro. Dal 2016 la parola d’ordine per noi sindaci dovrà essere solo una: coraggio».
Ma non è che sia solo un modo per conservare poltrone?
«Ho già detto che non becchiamo un quattrino. Quanto al potere, se è “poter fare”, non va demonizzato. Sennò vorrà dire che resteremo quelli che siamo: dei veneti brontoloni, affidati alla capacità di intrapresa dei nostri imprenditori, piegati su noi stessi su temi mal gestiti ma non fondamentali come i profughi, neanche fosse questo il tema della prospettiva, della modernità, del futuro». 

di Angela Pederiva dal Corriere del Veneto

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