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Lo squallido Funeral party di Casamonica, anche per Travaglio mandante è l'indifferenza generale

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 22 Agosto 2015 alle 10:29 | 0 commenti

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Marco Travaglio è unico e, quindi, la constatazione che sul suo corsivo di oggi su Il Fatto Quotidiano associ i funerali di Casamonica alla parola "indifferenza" ci riempie di provinciale orgoglio per aver utilizzato anche noi l'indifferenza generale come mandante di comportamenti CasamonicaLike o, da noi, MaltauroLike, SartoriLike e così via.

Pubblichiamo, quindi, con sublime soddisfazione il corsivo di Travaglio.

Il Direttore 

Funeral party
di Marco Travaglio 
 
Il Paese di Tartuffe, che non è la Francia seicentesca di Molière ma l’Italia del 2015, s’indigna per il Funeral Party al fu Vittorio Casamonica e lo chiama “boss” anche se non ha condanne per mafia, anzi ha una fedina penale decisamente più immacolata di quella del 10 per cento dei parlamentari italiani (per non parlare degli eurodeputati e dei consiglieri regionali e di un bel po’ di governatori). Il che, intendiamoci, va benissimo: neppure Al Capone ebbe condanne per mafia, solo una per evasione fiscale, però chiamarlo “evasore” pare un po’ riduttivo. 
È una caratteristica dei boss scampare alle condanne, e spesso anche agli arresti. Ma allora perché Casamonica è “boss” anche con una condanna a un anno per truffa nell’acquisto di una Ferrari, e – per dire – i mafiosi amici e soci dell’allora presidente del Senato Renato Schifani non sono boss perché furono condannati soltanto più tardi?

Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party a Casamonica ora che è chiuso in una bara, ma quand’era vivo e regnava su Roma da una villa arredata da Cetto La Qualunque e cantava My Way al compleanno in un grammelot inglese degno di Fo e Proietti, i partiti di destra si scordavano le sue origini rom e prendevano volentieri i suoi voti per il Comune.

Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party al Casamonica morto, ma ha prontamente dimenticato le foto ricordo del rampollo Luciano con la felpa azzurra “Italia” nel 2010 a cena col futuro ministro Pd Giuliano Poletti, il sindaco Pdl Gianni Alemanno e una bella galleria di futuri ospiti delle patrie galere.

Il Paese di Tartuffe si vergogna perché le immagini del Funeral Party a Casamonica fanno il giro del mondo, ma ha già dimenticato quando B. definì nella campagna elettorale 2008 il boss Vittorio Mangano “un eroe” perché non aveva parlato di lui né di Marcello Dell’Utri. Dopodiché rivinse le elezioni e tornò al governo per tre anni, poi fu richiamato in servizio da Napolitano nel 2013 per le larghe intese con Letta e nel 2014 da Renzi per il Patto del Nazareno in veste di padre costituente.

Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party al presunto boss Casamonica, ma non dice una parola sul sicuro mafioso Dell’Utri che, dopo la fuga in Libano, risiede da 14 mesi nel carcere di Parma a poche celle di distanza da Riina, per scontarvi una condanna definitiva a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Motivo: aver propiziato nel 1974 “un patto” tra “Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (gli ultimi tre sono boss mafiosi, ndr) in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa Nostra per ricevere in cambio protezione”; e “in virtù del patto i contraenti (Cosa Nostra da una parte e Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che Berlusconi ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio”. Il tutto “nell’arco di un ventennio”. Poi Dell’Utri creò Forza Italia, di cui fu 4 volte parlamentare e 2 eurodeputato.

Il Paese di Tartuffe se la prende col parroco che ha celebrato il Funeral Party, con i vigili che hanno scortato il feretro, con le autorità che non hanno vietato l’immondo show e addirittura con l’elicotterista che ha sganciato petali di fiori sul corteo funebre (ecco: è lui il colpevole di tutto), ma non fece una piega quando il presidente della Repubblica Napolitano, il presidente del Senato Grasso e il presidente del Consiglio Letta – prima, seconda e quarta carica dello Stato – omaggiarono la salma di Giulio Andreotti, di cui la Cassazione aveva detto molto peggio che di Casamonica: cioè che era stato mafioso fino al 1980, “reato commesso” ma prescritto.

Il Paese di Tartuffe si scandalizzò quando scoprì che Renatino De Pedis, boss e killer della Magliana, era sepolto nella basilica vaticana di Sant’Apollinare, ma sorvolò sui rapporti con la Banda intrattenuti dal clan Andreotti ed ereditati da decine di politici e funzionari di ogni colore fino al blitz di Mafia Capitale.
Il Paese di Tartuffe non alza un sopracciglio se il Ros arresta Riina ma non perquisisce il suo covo, poi fa scappare Bagarella a Terme di Vigliatore, poi fa fuggire pure Provenzano a Mezzojuso, e per premio il generale Mario Mori e il capitano Ultimo vengono promossi; poi Ultimo, al comando del Noe, fa indagini delicatissime su Bisignani, il tesoro della Lega, il generale Adinolfi, Finmeccanica, i rapporti coop rosse-camorra, e viene subito rimosso senza che nessuno faccia un plissé.
Il Paese di Tartuffe si domanda cosa c’è dietro le complicità di politici e forze dell’ordine con i Casamonica, ma se ne infischia allegramente di quelle di politici e forze dell’ordine con Cosa Nostra che, dopo le stragi del 1992-’93, ottenne dallo Stato non un funerale kitsch, ma quasi tutto quel che chiedeva (dalla revoca di centinaia di 41-bis allo smantellamento della legislazione antimafia), dopo una regolare trattativa condotta dal Ros e dai politici retrostanti, oggi imputati nel silenzio generale davanti a magistrati condannati a morte nell’indifferenza generale.
Il Paese di Tartuffe combatte i boss da morti e i magistrati da vivi.


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