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La parabola di Alessandra Moretti

Di Rassegna Stampa Martedi 2 Giugno 2015 alle 17:36 | 1 commenti

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È stato come attraversare i binari mentre arriva un Freccia Argento. Adesso bisogna avere rispetto. Perciò smettetela con questa storia di «Ladylike». È pura cattiveria continuare a ricordargliela. Lo sa anche lei che i suoi guai sono cominciati davanti ai microfoni di corriere.it . L’estetista una volta alla settimana, le donne che in politica devono essere «belle, brave, intelligenti ed eleganti», la spiacevole allusione allo stile «più austero» di Rosy Bindi.

Va bene, d’accordo: Alessandra Moretti straparlò e non gli fu perdonato. «Ladylike» è diventato il terrificante soprannome di una intera campagna elettorale. Certo nessuno avrebbe però immaginato un epilogo simile.
Doppiata da Luca Zaia.
Letteralmente: lui al 50,1%, lei ferma al 22,8%.
Dev’essere arrivato con un sibilo, lo spostamento dei voti come uno spostamento d’aria.
Una notte per riordinare le idee. Poi la conferenza stampa a Padova. Potreste pensare che adesso avrebbe davvero bisogno di una brava estetista per eliminare le occhiaie, il pallore della stanchezza, le grinze sul viso che resta bellissimo anche dopo aver visitato tutti i 579 comuni del Veneto, percorso oltre 30 mila chilometri, aver munto una mucca su una chiatta affollata di allevatori davanti a piazza San Marco, aver visitato mercati e fabbriche, stazioni ferroviarie e ospedali, e poi cenato e pranzato con preti, ambulanti, alpini, disoccupati, maestre d’asilo e agricoltori che l’hanno costretta a vuotare damigiane di prosecco e ad assaggiare l’aglio polesano.
Tutto inutile.
E lei sa dire anche perché.
«Qui ha trainato Zaia, Salvini e la Lega non c’entrano. Qui il primo partito è quello di Zaia, siamo di fronte ad un grande voto personale e noi abbiamo perso male, proprio male… ci sono numeri inconfutabili».
Le responsabilità: forse sarebbe il caso di essere più precisi. «Qualcosa evidentemente non ha funzionato e nei prossimi giorni avremo la lucidità per fare una riflessione complessiva che riguarda sia il partito nazionale, sia la segreteria regionale. Certo su di me ha pesato anche un giudizio sull’operato del governo».
Questo è un attacco, durissimo, a Matteo Renzi (ma cambia discorso e torna sulla questione «Ladylike»).
«Direi che è evidente come e quanto sia stata presa di mira dall’opinione pubblica. Io, quando attacco un avversario, lo faccio sempre sui contenuti: gli attacchi che ho invece subìto in queste settimane hanno riguardato soprattutto la sfera personale».
Ha 41 anni, ha due figli, è avvocato, è stata vicesindaco di Vicenza, poi portavoce di Pier Luigi Bersani dicendo che da giovane «era bello come Cary Grant», nemica di Matteo Renzi dicendo che è «una primadonna, egocentrico e maschilista», quindi cuperliana dicendo che «Gianni intende la sinistra come piace a me». Quando infine concluse la capriola atterrando tra i renziani, con una certa disinvoltura annunciò di aver cambiato ufficialmente idea, solo «perché Matteo è un vero fuoriclasse della politica».
Il guaio è che lui, Renzi, è notoriamente poco propenso a dimenticare. Ti sorride, ti guarda con complicità: ma ha una memoria di ferro. Così, due settimane fa, non rinunciò a una battuta lugubre: «Le elezioni regionali? Vinciamo 6 a 1». È andata molto peggio, ma è chiaro che la sconfitta in Veneto il capo l’aveva messa nel conto.
Ecco, appunto: cosa deciderà adesso il capo? Quando leggerà le ruvide riflessioni della Moretti sulle ragioni della sconfitta, come reagirà?
Lei, che obbligata a candidarsi a governatrice del Veneto fu costretta a lasciare l’incarico di europarlamentare a Strasburgo, si prepara al peggio.
«Ai miei elettori prometto di impegnarmi con grande rigore in consiglio regionale…».
Cronisti, in conferenza stampa, con sguardi che sono un miscuglio di stupore e dubbio.
«Prometto di impegnarmi e di continuare a fare politica qui, vigilando affinché chi ora si trova alla guida di questa regione sia trasparente nella gestione dei soldi pubblici…».
Dal Veneto era partita, in Veneto si ritrova. Chiaro che in politica certe parabole devi sempre pensare che possano toccarti. Ma quando ci finisci dentro, è dura. Per capirci: il giorno che sono andate a salutarla sul palco dell’ultimo grande comizio le sue colleghe famose del Pd, i fotografi hanno scorto nella smorfia della Moretti la vertigine tipica del panico da invidia. Lei in mezzo a Deborah Serracchiani, governatrice del Friuli Venezia Giulia, e tre ministre: Marianna Madia, Roberta Pinotti e Maria Elena Boschi (con scarpe rosse e tacco a spillo di almeno 14 centimetri). La foto ricordo con la Boschi, completa di abbraccio e bacino di buon auspicio sulla guancia, è stata struggente.
Potete trovarla sul web: dove, in queste ore, sono impietosi.
Vero che il web aiuta anche tanti poveri disgraziati a scaricare frustrazioni e invidie, ma con lei, con Alessandra, stanno un poco esagerando. Non le perdonano niente. Una ferocia assoluta. C’è uno, su Twitter, che è arrivato persino a ricostruire la sua ultima gaffe, di pochi giorni fa: quando ha firmato il manifesto delle associazioni Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersexual) giusto un mese dopo aver sottoscritto con una certo trasporto gli impegni a favore della famiglia naturale proposti dal Forum veneto delle famiglie.
Comunque ormai è andata, Alessandra.
«Ringrazio tutti, siete stati splendidi».

di Fabrizio Roncone dal Corriere della Sera 


Commenti

Inviato Mercoledi 3 Giugno 2015 alle 07:23

Non restano che le dimissioni per concludere la parabola.
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