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Cose da buttare a Vicenza a fine 2016, cose da cui ripartire nel 2017: una doppia, simbolica storia al S. Bortolo. Buon anno 2017 a chi ci legge e a chi ci vorrebbe cancellare

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 31 Dicembre 2016 alle 20:49 | 0 commenti

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È un modo di dire e, purtroppo, non si realizza spesso o, almeno, mai abbastanza: a ogni 31 dicembre si vorrebbe buttare via tutto il brutto dell'anno e ripartire il 1° gennaio per un nuovo anno con nuove speranze e nuovi sogni per costruire belle realtà. Potremmo sintetizzare il brutto del 2016, per tutti, col crac della Banca Popolare di Vicenza, da noi "previsto" fin da agosto 2010 nel silenzio e nella complicità locale di quelli che "contano" (cfr. "Vicenza. La città sbancata"), per noi con la denuncia di tal Gianni Zonin per aver raccontato la sua pessima gestione anche della Fondazione Roi. Quel crac nell'indiferenza totale e quella denuncia nell'omertà dei media locali fotografano la Vicenza che voi non volete e che noi vogliamo cambiare con voi.

La Vicenza che vogliamo è parte di un'Italia da far risorgere su basi che a gran parte dei politici e dei portatori di interessi locali è sconosciuta, chiusi come sono nelle loro piccolezze che hanno reso troppo piccola e arida la nostra terra perchè possa nutrirsi della linfa vitale delle nuove energie, quelle dei nostri giovani e dei giovani dei nuovi italiani.

Noi vogliamo parlare a loro stasera perchè nel tempo che ci separa dalla mezzanotte del 2016 pensino a tutto quello che solo giovani ancora non inariditi da esempi ben poco iluminanti possono fare perchè per noi abbia senso continuare a trasmettere loro quel poco di buono che ci è rimasto e per loro il 2017 significhi riscoprirei valori che noi abbiamo smarrito.

E allora, simbolicamente, raccontiamo prima lo sfogo su FB di un collega vicentino,  Maurizio Ottomano, che al S. Bortolo ha combattuto per la madre contro inefficenze e insensibilità, simbolo del "brutto" del passato, ma poi ha trovato un medico, una "persona" che per noi simboleggia il buono del futuro.

Buon anno 2017, allora, a tutti quelli che ci leggono, non solo a coloro che ci "approvano", perchè quelli che ci vorrebbero cancellare sono "il passato", cancellati da buoni sentimenti verso di loro.

Chi ci legge, anche se ci discute, per noi è il futuro vivo di questa terra cge venedno da lontano ho imparato ad amare mentre chi ci è nato spesso priova a distruggerla.

Auguri allora, anche a chi ci vorrebbe cancellare ma che ci dovrà ancora leggere.

 

Parte I, il brutto:  Odissea al pronto soccorso del San Bortolo

"Dopo l'infarto del 2008 è la seconda volta che, io e mia madre, andiamo verso il Pronto Soccorso. Lasciamo mio padre, con problemi seri di autonomia, in altre mani, sperando di rientrare almeno nel giro di 6 ore. Mamma ha una fibrillazione atriale cronica, un dolore intra-costale e una mancanza di respiro. Il 22 dicembre il medico di base richiedeva esami del sangue urgenti, con ricerca dell'enzima che evidenzia l'affaticamento del cuore; il 9 gennaio abbiamo una visita a pagamento con il cardiologo per un piano terapeutico (pastiglia di nuova concezione). Con queste premesse arriviamo in auto al pronto soccorso. Mamma è prostrata, occhi chiusi, reclinata in auto. Sono le 12.35. Mi fiondo all'interno, grido la situazione, ma non mi guarda nessuno. Allora passo dalla parte delle ambulanze ed entro diretto in area rossa! Là un infermiere, che è dietro l'accettazione, mi fa qualche domanda e alle fine esce lui personalmente perché altri non ce n'è (!), mentre un soccorritore mi cerca una sedia, perché nemmeno quelle sono disponibili. Alla fine decidono di portarla dentro con una barella da ambulanza. Le fanno il controllo del triage (battito, pressione e saturazione) alle 12.51. Lo saprò poi, perché lei non se ne accorge, essendo in stato di torpore; il codice è verde. Intanto io entro dalla parte pedonale e riesco a vederla ogni volta che la porta dell'Area Rossa si apre: è su un lettino con i documenti in grembo. Per una mezz'ora non succede nulla; verso le 13.40 esce su una sedia e mi dicono "la tenga qui intanto, aspettate qui". Il "qui" è un corridoio saturo di gente, con una decina di pazienti sulle sedie a rotelle. La sala d'attesa dietro di noi è ricolma, di altra gente e di altre sedie con altri pazienti; la seconda sala, lo stesso. Si sta lì, in piedi ad assistere il proprio congiunto, attendendo "un qualche segnale dai medici" con pazienza. Qualcuno attende dalle 08.30 e non sa ancora nulla della madre sotto monitoraggio; altri arrivano da Lonigo e non sanno se il paziente sia ancora lì o sia stato trasferito in reparto, forse è ritornato in ambulanza a Lonigo.....Nessuno sa, nessuno dà risposte, panico negli occhi di persone ignare delle condizioni fisiche e del luogo in cui il loro caro è ricoverato. C'è qualche volontario in servizio, che si fa in quattro per chiedere informazioni, con grande umanità e pazienza; i pochi infermieri che compaiono vengono presi d'assalto e rispondono come possono, a volte in modo sbrigativo :"deve chiedere al medico di riferimento". Ci si guarda: "ma che cacchio vuol dire?".
Tra pianti di bimbi, lamenti di malati sofferenti, gente che vomita, familiari che si lamentano, tosse, starnuti, cellulari che squillano, maleducati che sbraitano e quant'altro potete trovare in un posto stracolmo di gente ammalata e ammassata, arriviamo alle 17.15.
Quasi 5 ore(!) dopo essere entrati, arriva il momento della visita nell'ambulatorio uno. Ripeto, cinque ore di corridoio, in attesa. Alle 17.22 finisce la visita, 7 minuti dopo essere entrati. Con una flebo di antidolorifico e un prelievo di sangue, veniamo inviati ai raggi per il dolore intra-costale. In radiologia facciamo relativamente presto: alle 18.05 abbiamo già il responso e spingo la carrozzina verso il pronto soccorso nuovamente. I raggi dicono di due costole incrinate, probabilmente negli sforzi per sollevare mio padre o forse in una caduta di tre mesi prima. In ogni caso non è il cuore, che ne ha già di suo abbastanza. Consegno le carte e attendiamo in sala d'aspetto. la gente è lievemente diminuita dal pomeriggio, ma non di molto. Le facce viste alle 13, ormai sono familiari, con qualcuno si parla, con altri ci sono sguardi di comprensione. Alle 18.37 ci chiamano e ci comunicano che dovranno fare un altro prelievo, alle 20.30, tra due ore, perché il cardiologo lo vuole, perché dopo ci visiterà. Facciamo presente la situazione a casa, che non sappiamo come gestire, con la persona che rimarrà da sola probabilmente. Ci assicurano che per le 22-22.30 sarà tutto finito.
Passano due ore, due ore e mezza ed ecco il prelievo: sono circa le 21.
Alle 22 ancora non è successo nulla; alle 22.30 fermiamo l'infermiere dell'ambulatorio che ci conferma di avere già il risultato delle analisi e di aver già allertato il cardiologo. Mamma è stanca: siamo lì senza aver mangiato nulla dalla mattina, seduta su una sedia lei e in piedi per lunghi tratti, da 10 ore io. Mi domando se fossimo stati a Reggio Calabria e avessi telefonato ad un collega, quale articolo sarebbe stato scritto e quale reazione avremmo avuto qui al nord, pensando ai soliti luoghi comuni "epperforza, sono in terronia..". Qui siamo nel (ex)florido nordest e da 10 ore in attesa per due esami del sangue, un veloce elettrocardiogramma, un raggio e una visita non specialistica: in tutto circa 15 minuti di tempo materiale, sottratto al personale dalla paziente! Quindici minuti di lavoro in diversi reparti per 9 ore e 45 di attesa. Mentre penso a questo arrivano le 23, poi alle 23.20 mia madre perde la pazienza, con molta civiltà entra nell'ambulatorio che ha la porta momentaneamente aperta e chiede notizie sul cardiologo. Le viene risposto che non sanno dove sia, né quando arriverà, perché ha due reparti da vigilare, per cui dobbiamo attendere ancora.
A questo punto lei decide di abbandonare il pronto soccorso, con l'infermiere che le racconta una grossa balla, minacciando la distruzione di tutti i dati:"visto che rinunciate, verrà cancellato tutto". L'infermiere del secondo turno all'ambulatorio uno sa perfettamente che minaccia di commettere un atto perseguibile penalmente, perché la cartella clinica non viene distrutta, ma deve trovarsi e può essere richiesta all'ufficio preposto da oggi in poi. Lo spero per lui.
Alle 23.30 usciamo dal San Bortolo, dopo circa 11 ore, senza la visita e senza le risposte, sperando vada tutto bene. Questo non nel 1800 o in un paese del terzo mondo, ma a Vicenza, nordest Italia, in una notte stellata e fredda del 2016.
Un grazie al personale che ce l'ha comunque messa tutta, ai volontari gentilissimi e soprattutto a chi ha cercato di risolvere i problemi. Meno a quelli che fanno il loro lavoro, palesemente solo perché devono guadagnare il soldino.
Si ringraziano anche i politici per i continui tagli alla sanità: dovevamo ambire alle eccellenze e invece andiamo nella direzione opposta. Auguri a tutti quelli che si troveranno ospitati, loro malgrado, al Pronto Soccorso: più che alle cure, si ambisce ad uscire!

 

Parte II, il buono: Ringraziamento pubblico al dott. Francesco Corà - responsabile area dell'emergenza medica - Ospedale san Bortolo
Ritengo opportuno informare che, a seguito della pubblicazione del mio post "Odissea al Pronto Soccorso del san Bortolo", sono stato prontamente contattato dal Dott. Francesco Corà, Responsabile dell'Area Emergenza Medica dell'Ospedale San Bortolo. Il Dott. Corà con estrema gentilezza e molto preoccupato per le condizioni di salute di mia madre, scusandosi altresì per i disguidi che non ci hanno permesso di completare l'iter investigativo sulle sue condizioni, l'altro giorno, ci ha invitato questa mattina alle 11.00, nuovamente al nosocomio vicentino, offrendosi di completare personalmente l'analisi della situazione cardiaca in atto. Siamo così stati accolti con molta cordialità dal Dott. Corà, che ha voluto porre l'accento su come il comportamento sbagliato di pochi, addirittura di un singolo elemento, possa compromettere il lavoro di molti, anche se egregio. Quando si lavora in squadra, non deve succedere per nessun motivo: su questo è stato categorico. Sono stato d'accordo con lui, per altro convenendo sulla giornata eccezionalmente difficoltosa per il pronto soccorso, in occasione della nostra emergenza e sul lavoro ottimo del personale, nonostante mezzi e organico a disposizione fossero messi a dura prova. Il Dott. Corà mi ha poi confermato che, in caso di rinuncia alle cure, cioè nel caso un paziente voglia abbandonare il Pronto Soccorso prima della dimissione firmata dal medico, la cartella clinica è comunque richiedibile all'ufficio preposto mediante domanda: quindi nessuna distruzione né cancellazione, ma archiviazione con massima cura, delle azioni fino a quel momento intraprese dall'equipe dell'emergenza medica. Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, dopo un attento e competente esame della situazione della mamma, il Dott. Corà oggi decideva di richiederne il ricovero immediato in cardiologia, per problemi che verranno approfonditi in reparto e forse per un intervento necessario nei prossimi giorni. Quindi ultimo dell'anno senza molti festeggiamenti per noi, ma con la sicurezza di averla lasciata in buone mani. Non posso che ringraziare la coscienza, la passione e l'attaccamento alla professione medica che il Dott. Francesco Corà ha dimostrato, contattandoci personalmente e per aver impiegato parte del suo prezioso tempo a controllare le condizioni precarie del cuore di mia mamma, nonché a disporne un ricovero senz'altro decisivo per le sue sorti. Per questo motivo desidero, questa volta, evidenziare qualcosa di eticamente encomiabile, legato strettamente al Pronto Soccorso dell'Ospedale San Bortolo; qualcosa che non mi aspettavo potesse succedere, ma che un medico coscienzioso e coraggioso, ha fatto in modo succedesse. Grazie ancora!"


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