Quotidiano | Categorie: Mostre, Arte

"Tutanhkamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento": terzo atto dello one man show di Goldin

Di Donata Rizzi Giovedi 18 Dicembre 2014 alle 15:54 | 0 commenti

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La mostra di Goldin (e sottolineiamo "di Goldin", perché il vero protagonista in scena è lui) piace o non piace? Bella o brutta? Giusta o sbagliata? Il discorso non è semplice, chiama in causa ragioni, gusti ed argomenti anche diametralmente opposti e validi allo stesso modo. Determinare un giusto e uno sbagliato, un bello e un brutto è inutile oltre che impossibile.

Goldin o lo si ama o lo si odia, verrebbe da dire, tenendo però presente che amore ed odio sono sentimenti difficili da relazionare con la razionalità. Indubbiamente è una figura di primissimo piano, ma al tempo stesso ingombrante, ed alla lunga ci si potrebbe anche stancare.

Assistendo alla visita guidata (che sa un po' da one man show) da lui tenuta abbiamo conferma che il dono della parola non manca certo a mister Linea d'ombra, che per il terzo anno di fila ha portato un cospicuo numero di capolavori a Vicenza, incastonandoli nella pregevole cornice della Basilica Palladiana. Sul fatto che Marco Goldin non ottenga e non proponga "croste" non c'è ombra di dubbio; così come è fuori discussione - lo ha dichiarato egli stesso ieri, durante l'inaugurazione per la stampa - che le mostre le organizzi in primis per sé, e che poi le "offra" al pubblico. Un autocompiacimento personale, quindi, che vorrebbe mettersi in costante dialogo con il visitatore, puntando sull'emozionalità, sullo stupore lasciato dall'esperienza estetica individuale. Il tutto all'insegna di una retorica che - a seconda dei gusti - può annoiare o ammaliare, illuminare o sconcertare, conferendo alla mostra un'aura di coerenza oppure di raffazzonamento.
Elemento guida del percorso (sempre e solo rigorosamente tematico) di quest'anno è la notte, con la sua dimensione onnicomprensiva: "La notte, il suo spazio soprattutto, raccoglie ogni volto, e ogni cosa, in una dispersione che ci fa partecipare - corpo e anima - di quello stesso spazio", recita l'ipertrofico pannello introduttivo. La notte che è un contenitore, così come lo è in fin dei conti l'intera mostra, che vede esposte ben 113 opere, spesso rare, divise in 6 sezioni e provenienti da 30 musei e collezioni di tutto il mondo. Il tutto tenuto insieme da un filo (retorico) che talvolta si rende così sottile da costringere lo spettatore a compiere un notevole sforzo per non perdere l'orientamento. Ci sono gli Egizi, provenienti dal Museum of Fine Arts di Boston, ci sono le splendide incisioni di Rembrandt, ci sono i romantici e gli impressionisti; c'è Klee che dialoga con Monet e Hopper all'interno della stessa stanza, c'è l'ultima sala che è un concentrato esplosivo di capolavori (di Bacon, Caravaggio, Cézanne, Gauguin, Rothko, Van Gogh, Wyeth) che lascia storditi. Il prezzo da pagare però è quello di un incessante funambolismo, il dover subire passivamente l'articolato (e talvolta poco fluido) percorso mentale di qualcuno che di arte ce ne capisce sì, ma che al tempo stesso ne ha fatto un business.
Da questo punto di vista, la triennale collaborazione con Linea d'ombra è stata sicuramente fruttuosa per la città di Vicenza, ed anzi, ora che il trittico delle mostre in Basilica giunge al suo capitolo conclusivo, sorge l'interrogativo su chi possa essere l'ideale continuatore di quella che molti vorrebbero diventasse una tradizione consolidata. Certo, Goldin è l'uomo dei grandi numeri, ma per essere tale - non dimentichiamolo - è prima di tutto un bravo venditore. Per il futuro si spera in qualcosa non tanto di migliore, quanto piuttosto di diverso.


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