Riforma Banche popolari, vicino l'addio al voto capitario
Sabato 17 Gennaio 2015 alle 12:47 | 0 commenti
di Marco Ferrando e Carmine Fotina*
La norma è brevissima, appena due commi, ma va a colpire le banche popolari nel cuore: il voto capitario, cancellandolo. Secondo quanto appreso da Il Sole 24 Ore, è una delle riforme di ambito bancario destinate a entrare nel Dl investimenti, il cosiddetto "Investment compact", che è atteso in Consiglio dei ministri martedì prossimo.
Nel dettaglio, il Governo avrebbe deciso di prelevare e inserire nell'Investment compact alcuni articoli dal disegno di legge sulla concorrenza attualmente in fase di stesura al ministero dello Sviluppo economico (su input dell'Antitrust), e tra queste ci sarebbe anche il mini-articolo sulle popolari: nella formulazione che Il Sole 24 Ore ha avuto modo di consultare è contenuta l'abrogazione dell'intero articolo 30 del Testo unico bancario, quello che disciplina i soci delle banche popolari. Cancellare quell'articolo, con i suoi otto commi, significa cancellare il voto capitario («Ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute»), il tetto dell'1% per le partecipazioni dei singoli soci, il numero minimo di soci (pari a 200). Il secondo comma del decreto potrebbe prevedere anche l'eliminazione delle eccezioni rispetto alle disposizioni generali consentite alle popolari sulle deleghe di voto, ma nei fatti si tratta di poca cosa: la norma deflagrante è l'abolizione del voto capitario, che nei fatti significherebbe trasformare le banche popolari in spa. Stando alla bozza del ddl concorrenza non sarebbero previste novità sulle Bcc, ma da fonti governative non si esclude un intervento anche su quel versante.
«Ci sono tantissime banche e
pochissimo credito, soprattuttò per le piccole e medie imprese», ha osservato ieri Matteo Renzi nella direzione Pd, di fatto annunciando un provvedimento che razionalizzerà il settore del credito. In effetti, la cancellazione del voto capitario potrebbe avere l'effetto di facilitare tutte le operazioni straordinarie, quelle che di norma non incontrano il favore delle maxi-assemblee piene di piccoli soci: aumenti di capitale e, soprattutto, aggregazioni. «Non abbiamo avuto paura di intervenire sul numero di parlamentari, non avremo paura di farlo sul numero dei banchieri», ha rincarato la dose il premier. Non c'è dubbio che un eventuale riforma di questo tipo non sarà povera di reazioni, e non solo da parte dei banchieri: già ieri, al diffondersi delle prime voci al riguardo, si è subito pronunciato il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni: «Se Renzi vuole diminuire i banchieri faccia pure, ma riformare le banche popolari, le banche di credito cooperativo e le banche locali, che hanno sempre sostenuto l'economia dei territori, trasformandole in spa è un errore perché inevitabilmente si creerebbero le condizioni per ulteriori tagli del personale e di numeri importanti in tema di esuberi».
Tuttavia, nel pacchetto bancario dell'Investment compact non ci sono solo le popolari ma anche i conti correnti e i fondi pensione: sul primo versante, per aumentare il tasso di mobilità della clientela, si punta a integrare la normativa sulla trasparenza bancaria rendendo obbligatorio a 15 giorni il termine entro cui il trasferimento di un conto corrente da un istituto all'altro; per chi non adempie, scatterà l'obbligo di risarcire il cliente; altre norme, poi, riguardano la comparabilità delle condizioni applicate dalle banche nonché la portabilità dei fondi pensione. Sempre sul tema credito, si lavora per perfezionare il pacchetto di norme relativo al Fondo centrale di garanzia (si veda Il Sole 24 Ore del 7 gennaio). L'idea principale è far sì che il Fondo possa garantire anche titoli derivanti da cartolarizzazione che abbiano ad oggetto crediti nei confronti delle piccole e medie imprese. Una mossa che spianerebbe la strada all'acquisto da parte della Bce delle cosiddette tranche mezzanine di titoli derivanti da cartolarizzazione (Abs), purché dotati di garanzia statale. Nell'ultima bozza dell'Investment compact si specifica che le cartolarizzazioni dovrebbero avere ad oggetto crediti "in bonis". Ma sono in corso verifiche per evitare che l'apertura agli Abs assorba troppe risorse dal Fondo, penalizzando le altre operazioni che vengono tradizionalmente effettuate per le Pmi. Nel frattempo, il decreto dovrebbe ridurre a un massimo del 60% dal precedente 80% la copertura della garanzia diretta su ogni singola operazione.
Rinviata, invece, la riforma delle Fondazioni: in questo caso la palla resta al Mef, dove è in fase di stesura l'atto negoziale che sarà sottoposto all'Acri.
* Da Il Sole 24 Ore
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