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"Pace e sicurezza", documento Associazione 11 Settembre. Alifuoco: verità scomode

Di Edoardo Andrein Martedi 17 Marzo 2015 alle 18:54 | 0 commenti

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Ubaldo Alifuoco, vicepresidente dell' Associazione culturale 11 settembre, diffonde il documento sul tema "Pace e sicurezza", intitolato "Vicenza per una cultura di giustizia sociale e di pace nella sicurezza". E' stato elaborato dall'Associazione 11 Settembre insieme all'UNUCI (Ass. Nazionale Ufficiali in Congedo) e Assoarma. "Potrebbe suscitare un dibattito e dice alcune verità scomode ma che sempre più rappresentano una situazione mondiale non rassicurante" spiega Alifuoco.

Lo pubblichiamo integralmente di seguito:

 

"Vicenza per una cultura di giustizia sociale e di pace nella sicurezza "

 

Premessa

         Il tema della pace attraversa anche la realtà vicentina dove, già da tempo, alcuni interventi pubblici hanno stigmatizzato una presunta militarizzazione della nostra città conseguente alla presenza di complessi e di iniziative militari. Alcune di queste valutazioni hanno espresso una drastica condanna della condizione militare in quanto tale, e le strutture militari ubicate nel nostro territorio sono state indicate come strumento che penalizza Vicenza e la sua vocazione di città di pace.

         Poiché si tratta di un tema importante per tutti, che investe le nostre profonde convinzioni etiche e religiose, prima ancora di quelle politiche, riteniamo di dover esprime la nostra posizione di associazioni interessate a sostenere ogni processo che lavori per una vera pace garantita anche dalla sicurezza. Lo facciamo ponendo alcune semplici questioni, a partire dal rispetto dei valori della nostra Costituzione democratica.

 

Essere concreti costruttori di pace e non solo cittadini che la declamano

 

         Anche in relazione alle vicende vicentine degli ultimi anni, e alle più recenti problematiche connesse alle tensioni internazionali in molte parti dei paesi mediterranei e non solo, abbiamo spesso sentito dichiarazioni del tipo: "noi siamo contrari alla guerra". Questa è un'affermazione certamente condivisibile ma anche ovvia: c'è forse qualcuno che può affermare di essere a favore della guerra?

         Ben diverso è invece accompagnare quest'affermazione con un atteggiamento negativo verso le Forze Armate, le quali sono un organo dello Stato previsto dalla nostra Costituzione all'art. 52 che qui sotto riproduciamo nella parte fondamentale:

 

Art 52 della Costituzione Repubblicana:

«La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino [...] L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica»

 

         Ciò è tanto più ingiusto oggi, quando i nostri militari sono impegnati in azioni che con il vecchio concetto di guerra di conquista hanno nulla a che fare, e che, al contrario, sono di supporto ai processi di pacificazione e di lotta al terrorismo con una valenza nuova, che rientra nei concetti condivisi di "peacekeeping / peacebuilding / peace enforcing" nonché, ancora più in generale, di "polizia internazionale".

         In questo nuovo contesto rischia di assumere un significato ambiguo la generica dichiarazione di essere "contro la violenza di ogni tipo". Anche questa è affermazione ovvia per ogni persona di pace, tanto più per dei credenti. Ma, essendo il termine comprensivo di situazioni alquanto differenti, è opportuno chiarire. Infatti, passando dal piano dei principi a quello concreto della vita di ogni giorno, bisogna ricordare che c'è una violenza offensiva e un'altra difensiva, che si inquadra nell'uso legittimo o legittimato della forza. Certamente non possiamo mettere sullo stesso piano la violenza del carnefice e quella della vittima che si difende, la violenza dello schiavista e quella dello schiavo che lotta per liberarsi dalle catene, la violenza dei terroristi che oggi massacrano persone inermi anche nei luoghi di culto e quella dei corpi militari che le democrazie impegnano per combatterli.

         Sulle generiche declamazioni che aspirano alla pace non possiamo che concordare come persone impegnate per il bene comune. Il difficile è capire cosa si deve fare quando un governo dittatoriale tortura i propri cittadini, quando assistiamo ad attentati terroristici che attaccano intere comunità civili, quando piovono bombe e gas anche sugli asili, sugli ospedali, come accade spesso anche in paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

         Quindi le domande, impegnative per tutti, sono: cosa si deve fare per difendere i più deboli dalla violenza terroristica? La comunità internazionale deve assistere impotente? Come si può reagire quando i terroristi gettano bombe persino sui fedeli inermi che assistono a riti religiosi?

 

Il ruolo delle Forze Armate nel nuovo contesto mondiale

 

         Proprio per rispondere a questi interrogativi non possiamo limitarci ad affermazioni generiche dimenticando che davanti a noi è aperta una grande questione: un nuovo ordine internazionale, fondato sulla pace, potrà nascere solo se diamo agli organismi rappresentativi della democrazia i poteri d'intervento adeguati per affrontare ogni situazione. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, durante la guerra che travolse la ex Jugoslavia, di fronte a ripetute violazioni dei diritti umani (torture di massa, genocidi, violenze contro donne e bambini), non esitò a richiedere un sollecito intervento militare internazionale. Il terrorismo internazionale ci ha messi di fronte ad un nuovo modo di condurre la lotta politica, con una forma di conflitto definito "asimmetrico", dove una parte non rispetta alcuna regola, ben sapendo che di fronte a sé ha delle democrazie soggette a regole di civiltà incarnate nelle proprie costituzioni democratiche e nella Carta dell'ONU.

         In questa situazione, il mondo di pace che auspichiamo va costruito garantendo ai cittadini il diritto alla difesa e introducendo il principio dell'ingerenza umanitaria, elementi fondamentali del nuovo millennio che vede il progressivo dissolversi dei tradizionali confini tra stati.

         In questo quadro vanno inserite le considerazioni sul ruolo delle Forze Armate delle grandi democrazie e dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, alle quali è quindi richiesto un impegno nuovo, che non è certo assimilabile a quello di conquista territoriale che ha caratterizzato gli ultimi due grandi conflitti mondiali. Un impegno rivolto ad operazioni di polizia internazionale le quali, di volta in volta, assumono compiti di peacekeeping, di peace enforcing, e senza le quali dovremo assistere indifferenti all'azione distruttiva dei registi del terrore.

         Le Forze Armate delle democrazie restano dunque un organo fondamentale per la difesa dei deboli, ed il loro operato si ispira a profonde motivazioni etico-morali che caratterizzano la formazione di tutti coloro che oggi indossano una uniforme.

         Ovviamente, ciò non significa non poter giudicare le decisioni dei governi. A tale proposito occorre ricordare che la nostra Costituzione, come quelle di tutti i paesi democratici, affida alla politica le decisioni di impiego delle proprie Forze Armate. Non sono dunque i comandi militari ad assumere decisioni sugli interventi e sulle cosiddette "regole d'ingaggio". Di conseguenza, il diritto di critica che ognuno può esercitare va indirizzato verso specifiche autorità politiche, non ai militari in quanto tali. Sarebbe veramente sbagliata e miope una posizione di demonizzazione dei nostri militari, e sarebbe inoltre ingeneroso non riconoscere che, per questo impegno nuovo ad essi richiesto, le Forze Armate sopportano sacrifici molto pesanti, pagati in vite umane e ricaduti su molte famiglie.

 

Le organizzazioni militari presenti a Vicenza

 

         Questo nuovo ordine internazionale, dunque, non nascerà da solo e in breve tempo. Esso va costruito con politiche intelligenti sapendo che si tratta di un processo lungo del quale è però importante tracciare il sentiero. Un sentiero che deve essere fatto di politiche economiche, commerciali, sanitarie, scolastiche e culturali dirette al sostegno delle popolazioni che si affacciano faticosamente a forme di democrazia per esse inesplorate e difficili. Un progetto di democrazia che deve fondarsi concretamente sul principio della giustizia sociale che renda credibile l'impegno internazionale dell'Italia e che giustifichi la nostra richiesta di sicurezza.

         Bisogna però sapere che ogni politica mirata a questi obiettivi è destinata a trovare sul suo cammino fazioni violente, movimenti settari, fanatismi politici, etnici o religiosi organizzati in bande che seminano terrore proprio per impedire a queste nuove forme di realizzarsi. Sarebbe un gravissimo errore pensare che un nuovo ordine possa nascere senza necessità di poter contare sul sostegno della forza, ciò è necessario per difendere e dare fiducia alle donne e agli uomini di buona volontà.

         Per questi nuovi compiti cui sono chiamati i nostri militari servono una preparazione adeguata, una formazione che abbini alle strategie e alle tattiche dell'azione militare in contesti "asimmetrici" la capacità d'interazione con le popolazioni dei paesi coinvolti, l'attitudine a formare personale locale per operazioni di polizia volte a garantire sicurezza e stabilità.

 

         Ogni crisi internazionale, che può richiedere un intervento anche mediante l’uso della forza, da parte della comunità internazionale, è composta da alcune fasi che, nella più ampia accezione e a semplice titolo di convenzione, possono essere sintetizzate in: prevenzione, intervento (peace-making o gestione del conflitto armato), stabilizzazione (peace-enforcement o mitigazione del conflitto, e peacekeeping o mantenimento della pace), ricostruzione (peacebuilding come risoluzione del conflitto) e monitoraggio strategico (a situazione ristabilita).

         La stabilizzazione è la fase più delicata, onerosa e spesso lunga, nella gestione della crisi. Essa inizia quando il conflitto armato è ancora in atto o sta per concludersi, quindi le fazioni belligeranti ed armate sono ancora sul campo. In tale momento, la popolazione civile che non partecipa alle operazioni belliche ha estrema necessità di riprendere la vita normale, facendo riferimento ad istituzioni e strutture dello stato che, invece, non sono presenti o non sono efficienti. In questa fase, è ancora necessaria la presenza di forze armate multinazionali, per far desistere i combattimenti e disarmare le parti, ma lo è altrettanto una forza di polizia, che sostituisca o rafforzi quella locale, non capace o idonea a far fronte alle esigenze post – conflitto. La polizia, infatti, è l’espressione dello stato che prima di ogni altra agisce con la popolazione e verso di essa, durante la stabilizzazione: in caso di manifestazioni di piazza, disordini, scioperi, gestione di profughi, difesa di minoranze e difesa di componenti più deboli della società, in quello specifico scenario, è necessario che intervengano forze di polizia (e non le forze armate), capaci di proporsi verso la popolazione, di gestirne umori e movimenti, senza affrontarla con carri armati. A Vicenza, è stata capita appieno l’importanza della stabilizzazione e della necessità di formare adeguatamente chi poi dovrà operarvi, nei vari teatri del mondo, sotto differenti organizzazioni internazionali. Lo sviluppo dottrinale in ambito ONU, Unione Europea, Unione Africana, Alleanza Atlantica, l’acquisizione delle migliori tecniche e procedure in uso nel mondo, l’addestramento e la formazione mediante ricorso a moduli standardizzati delle stesse Nazioni Unite, sono le chiavi vincenti di tale impegno, portato avanti da più strutture ubicate nella nostra Città, a guida Arma dei Carabinieri.

 

         Il COESPU (Centro di Eccellenza per le Stability Police Units), fondato il 1° marzo 2005 e gestito interamente dall'Arma dei Carabinieri, nasce nel contesto del G8, quale strumento per favorire la formazione di forze di polizia da impiegare in missini internazionali, a guida ONU o Unione Africana. Supporta, quindi, operazioni di sostegno alla pace, con particolare attenzione ai paesi africani. L'attività di formazione, basata su moduli standardizzati delle Nazioni Unite è rivolta a personale che poi viene impiegato nei vari teatri internazionali di crisi.

         L'EUROGENDFOR (European GendarmeRie Force), è una iniziativa multinazionale composta da forze di polizia con status militare, della quale fanno parte l'Italia, la Francia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Spagna e la Romania. La struttura è diretta da un "Comitato Interministeriale di Alto Livello", di cui fanno parte rappresentanti di più Dicasteri delle nazioni parte di Eurogendfor, quindi a guida politica. Anche la sua mission è quella di supportare gli interventi di pacificazione in aree internazionali che presentano situazioni di crisi intervenendo con assetti o con singoli poliziotti, con il compito di rafforzare o sostituire, sulla base della situazione, le forze di polizia locali. Nel caso di intervento, le tecniche, tattiche e procedure applicate (di intervento, di rafforzamento o di formazione) sono conformi ai migliori e più elevati standard internazionali in materia, con particolare riferimento alle Nazioni Unite. . Il suo primo impiego è stato in Bosnia Erzegovina con la missione europea ALTHEA, e successivamente in atri teatri di crisi sempre in collegamento con l'ONU, l'UE, l'OSCE, la NATO. Nel concreto, tali forze sono impiegate a sostegno delle missioni umanitarie che garantiscono assistenza e supporto a favore di popolazioni inermi che nelle fasi successive a conflitti armati (quindi durante la stabilizzazione e la ricostruzione) sarebbero ancora più vulnerabili dall'assenza di uno stato di diritto.

         L'istituendo NATO SP COE "Establishment Team", Centro di Eccellenza per la Polizia di Stabilità in ambito Alleato, anch'esso a guida Arma, innesta la citata dottrina della "polizia di stabilità", a caratterizzazione di polizia e non militare, nella NATO. La dottrina, le metodologie di impiego e di intervento, ma soprattutto l'approccio verso la popolazione locale e le minoranze / soggetti vulnerabili, continueranno ad avere il denominatore comune dell'approccio di polizia, basato su moduli formativi delle Nazioni Unite.

 

         L'attività di queste organizzazioni, dunque, rientra pienamente in quel ruolo di polizia internazionale senza il quale l'invocazione alla pace resterebbe pura enunciazione astratta.

         Vicenza ospita anche una numerosa Comunità di cittadini degli Stati Uniti che comprende sia civili che militari del cosiddetto U.S. Army Africa. Riguardo alla mission del comando militare, che noi ci auguriamo risponda sempre ai criteri di umanità e rispetto che ispirano la cultura delle democrazie, vale ciò che si è detto circa la primaria responsabilità della politica che precede l'utilizzo della forza armata. Ovviamente, tale responsabilità della politica è sempre opinabile ma va sottolineato che anche verso questa comunità, presente a Vicenza da decenni, noi desideriamo avere sentimenti di amicizia favorendo ogni azione di integrazione soprattutto tra i giovani.

         Premesso quanto sopra e tornando al cuore del nostro ragionamento, il punto da sottolineare è che i processi di pacificazione vanno sostenuti concretamente. Là dove le azioni di sostegno economico, culturale, formativo, sanitario, ecc., rivolte alle popolazioni inermi dei paesi africani, sono minacciate dalle bande violente, non può mancare l'uso della forza a garanzia del diritto. Eludere questo nodo significa ignorare la realtà e lasciare indifese proprio quelle fasce deboli di popolazione che più aspirano ad una convivenza pacifica, all'estensione dei propri diritti, a condizioni di vita più umane.

         Proprio la vicenda degli sbarchi di una moltitudine di persone che dall'Africa vengono in Europa, sfruttate da intermediari senza scrupoli, che fuggono dalla fame e dalle guerre per bande, dovrebbe dimostrarci che i percorsi di democratizzazioni dell'Africa, come degli altri paesi del sud del mondo, richiedono anche l'utilizzo della polizia internazionale a sostegno di politiche socio-economiche che certo vanno rese più efficaci.

 

Conclusioni

 

         Per le ragioni ricordate, noi pensiamo che la presenza delle strutture militari di Vicenza non sia un problema ma una grande opportunità; una occasione per partecipare alle vicende del mondo nuovo che dovremmo costruire, per contribuire ai processi di cambiamento favorendo una vera cultura di pace e di sostegno alle popolazioni che sono più esposte ai pericoli della violenza di fronte ai quali abbiamo il dovere morale di non essere spettatori impotenti.

         I cittadini devono conoscere meglio le strutture a ciò dedicate come quelle presenti a Vicenza facendo sapere al personale militare e civile impegnato nelle aree complesse che esso ha il rispetto, la stima e il sostegno della popolazione.

         In questo modo, un futuro di maggiore pace non sarà solo una declamazione astratta ma un impegno concreto per tutti.

 

Vicenza, Marzo 2015


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