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Michelle Obama a Vicenza: il volto umano di Disneyland nel quartiere America

Di Pietro Rossi Venerdi 19 Giugno 2015 alle 21:31 | 0 commenti

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Da una parte c'è il mondo reale, l'orrore del colonnello Kurtz dell'Africa e dintorni, la macelleria psicopatica di un'America sempre alle prese con i propri fantasmi e i propri mondi e dall'altra c'è Disneyland, il mondo sognante e misterioso di Paperino messo in scena da Michelle Obama per far divertire una platea di bambini americani ben educati, magari figli di militari che rischiano la vita in missione.

Quel mondo che ha avuto al centro dell'attenzione Michelle Obama, moglie del Presidente degli Stati Uniti in visita al villaggio degli americani a Vicenza. Vero e proprio pezzetto di America tranquilla in cui i soldati - quando non vanno in missione in qualche parte del mondo - vivono nel loro micro-cosmo da caserma civilizzata. Ma, attenzione, c'è da dire che, forse per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, ci troviamo di fronte a una figura che, in ogni caso, è parte di una rivoluzione culturale, magari blanda e comunque istituzionale, ma di certo non ingessata a priori nel ruolo della "moglie del presidente" che arriva e si limita al protocollo.
La "First Lady", come la chiamano gli americani - ma adesso si usa anche qui da noi con la moglie di Renzi - ha certamente un carattere più sciolto e esuberante e il suo vestito rosso che buca le telecamere e fa felice la cronaca della provincia vicentina comunica in realtà un preciso messaggio culturale, e di alfabetismo, ai suoi connazionali. Lei, infatti, non è venuta a trovare noi, è arrivata nel seno della sua comunità in un piccolo angolo di America "ospitato" o "occupato", a seconda dei punti di vista, nel territorio dello Stato Italiano. Il sistema è il sistema e il rito della festa, in questo caso quella del papà che gli americani festeggiano il 21 giugno, viene venduto anche al popolo italico attraverso i media, popolo sicuramente più interessati al gossip che non ad altre questioni.
È però sbagliato pensare che la politica, in queste kermesse non esista. C'è la questione delle armi, con il massacro di Charleston da parte dell'ennesimo adolescente allevato in laboratorio e c'è quella continua porta sbattuta in faccia dal congresso al Presidente degli Stati Uniti - l'ultima è il trattato di libero scambio tra Usa e Stati del Pacifico - che, da quando Barack è alla presidenza, impedisce il programma di umanizzazione di una nazione che da troppo tempo è succube di se stessa. E poi ci sono quei fronti di guerra ancora aperti contro "Il terrorismo" e il vecchio nemico, l'orso russo che ha ricominciato ad alzare la testa. È l'America con le sue contraddizioni. E l'America è, però, sempre un insieme di stati che tengono sempre alta la bandiera del nazionalismo. Solo che, da parte di Michelle Obama, è in salsa democratica e di un Partito Democratico che, al contrario di quello nostrano, ha cercato in qualche modo di rinnovarsi da quando Obama è entrato in politica.
Da questo punto di vista è possibile leggere l'atteggiamento informale e "umano" di Michelle LaVaughn Robinson Obama, avvocatessa di Chicago da sempre con un debole verso le organizzazioni umanitarie e no-profit, come da decalogo del "buon democratico". Un atteggiamento che la fa comunque sembrare atipica nel ruolo imposto dai mass media come la moglie dell' "uomo più potente del pianeta". Ma quella è solo demagogia, nessuno è ormai il più potente nel mondo globalizzato, tanto meno l'attuale presidente degli Stati Uniti (per fortuna, qualcuno direbbe).
Michelle, di certo, si presenta come donna del popolo e "mamma" d'America che non vuole rinunciare ai propri ideali. Il fatto poi che trascorra del tempo con i figli dei soldati, nella casa dei soldati lontana dalla terra natia, a leggere assieme al colonnello Robert Menist un libro per bambini "Buddy and the Bunnies in: Don't Play With Your Food!" - non giocare con il cibo, perché una delle sue campagne riguarda l'alimentazione corretta (a onor del vero senza le maniacalità estremiste hollywoodiane) fa parte di un modo originale del famoso "supporto alle truppe".
Certo, si può discutere sul fatto che l'evento faccia parte di un programma - "Blue Star" - che promuove la lettura tra i bambini e i loro famigliari e che tale evento sia sponsorizzato dalla Disney (Matthew Grossman, vice presidente della Walt Disney Company per Europa, Medio Oriente e Africa, era tra il pubblico) ma la cosa non c'entra più di tanto. La Disney è una multinazionale ma un americano (anche un europeo, ma un americano di più) senza una multinazionale è come un pesce in una boccia senza acqua. Da una parte si può dire che il programma sia positivo per i figli dei militari americani che, secondo una stima della stessa Blue Star, hanno cambiamenti didattici di gran lunga superiori rispetto a quelli di un qualsiasi altro coetaneo, con passaggi che vanno dalle sei alle nove diverse scuole durante il periodo primario e con almeno due transizioni durante le scuole superiori. Fino ad oggi la Disney, attraverso First Book, ha infatti donato più di 70.000 libri al programma, che raggiunge più di 35 basi in patria e all'estero, compresi gli impianti in Alaska, Hawaii, Inghilterra, Germania, Italia, Corea del Sud e Giappone.
Dall'altra, invece, si parla di Disney, la multinazionale più volte accusata di non controllare le regole sulle sfruttamento minorile da parte dei laboratori terzomondisti che producono per lei i gadget. Ma anche questa, come la visita di Michelle Obama a Vicenza, è America.

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