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Mentre arriverebbe un quarto inceneritore in Veneto, si discuta su quello di Schio

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 15 Agosto 2015 alle 19:33 | 0 commenti

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Come scritto mercoledì 12 agosto da Il Fatto Quotidiano lo scorso 29 luglio le Regioni hanno ricevuto la bozza di decreto legislativo che attua una delle previsioni dello “Sblocca Italia” di Renzi (approvato a novembre 2014) e in cui si stabilisce la realizzazione di 12 nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti in 10 Regioni, tra cui il Veneto oltre a Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Sicilia e Toscana (in cui gli impianti saranno due).

In Veneto di inceneritori ce ne sono già tre, di quelli previsti da Renzi nessuno sa (o dice di non sapere) nulla  e il governatore Luca Zaia af ferma perentorio: “Il 25 maggio c’è stata inviata una comunicazione sul monitoraggio degli impianti esistenti. Di eventuali nuovi impianti nessuno ci ha detto nulla. Abbiamo tre inceneritori e non ne costruiremo altri: siamo una Regione ‘riciclona’ e puntiamo dritti sul compostaggio”.

Tra gli impianti esistenti quello di Schio, noto come Inceneritore di Cà Capretta, fa discutere da tempo gli abitanti gli scendensi e gli abitanti delle zone limitrofe, su cui "insistono" i suoi effetti, diretti e indiretti.

Un gruppo di cittadini e genitori della cittadina dell'Alto Vicentino Schio ci ha, ora, fatto pervenire una lettera e uno studio, elaborato da medici, che meritano attenzione e concludono con un invito: "sarebbe bene organizzare al più presto, un dibattito pubblico con il signor Bardelli, presidente di AVA, i sindaci interessati, i medici e la popolazione per affrontare questo problema".

Noi ci siamo e siamo disponibili a trasmetterlo su VicenzaPiùTv.

Il direttore

 

Egregio Direttore, sulla stampa locale c’era venerdì un articolo che dice tutto e dice niente sui 400 morti all'anno per tumori, però conclude che l'inceneritore di Schio non centra nulla! Ma veramente? All'Ilva di Taranto, l'Ulss, lo SPISAL per anni, nulla hanno detto sull'inquinamento e sui tumori; stessa cosa per l'amianto, stessa cosa per la Marlane della Marzotto, stessa cosa per Marghera e avanti così a non finire più. Il presidente di Ava, Bardelli,  ha dichiarato sul Corriere della Sera che la plastica raccolta finiva nell'inceneritore, dopo avere fatto tanta pubblicità su "scegli il meglio modo giusto di differenziare"!

Noi cittadini saremmo felici di credere che l'inceneritore di Schio "non inquina", ma gli studi fatti a livello internazionale dimostrano il contrario!

Vogliamo vedere le analisi di AVA, vogliamo sapere come sono state fatte le analisi.

Certa gente può dormire tranquillamente sapendo di dire cose non vere; noi i nostri figli li  vogliamo guardare negli occhi, perché il loro futuro è di nostra responsabilità.

Questa nota è lunga, ma vi chiediamo di pubblicarla integralmente perché è un lavoro fatto da medici e, se vogliamo, non è uno scontro "ideologico".

Sarebbe bene organizzare al più presto, un dibattito pubblico con il signor Bardelli, i sindaci, i medici e la popolazione per affrontare questo problema.

Dei cittadini e genitori di Schio

 

Inceneritori, salute pubblica e interessi economici: il pensiero di un gruppo di medici

 

Fonte: Epidemiologia e prevenzione.it

 

Ci sembra opportuno intervenire ancora sul dibattito concernente rifiuti - inceneritori - ambiente - salute, data l’estrema attualità dell’argomento. Attualità ben testimoniata dalla lettera di Paolo Cacciari (Epidemiol Prev 2007; 31: 74- 75), dalle iniziative (presidi permanenti, manifestazioni, di- giuni) dei comitati attivi nel Paese che sostengono l’ipotesi «rifiuti zero», ma anche dalla cronaca quotidiana, che vede il coinvolgimento sempre più esteso della magistratura su questa questione. (...) Numerosissimi inoltre sono gli esposti, le denunce, i ricorsi e le diffide presentate da associazioni ambientaliste, comitati, comuni cittadini in tutto il paese. Perché tutto questo clamore? Quali e quanti interessi ruotano intorno ai rifiuti per rendere la questione così rovente?Alcune premesse a questo riguardo sono indispensabili, prima di esporre quello che è l’obiettivo principale di questo testo, ossia entrare nel merito complessivo della questione rifiuti-salute, anche alla luce dei dati emersi a Forlì nell’ambito del progetto Enhance Health.1

 

Premessa

L’incenerimento è solo un metodo di riduzione del volume dei rifiuti e produce a sua volta rifiuti destinati a discariche anche speciali (ceneri, scorie – comprensive dei reagenti di trattamento), nonché tonnellate di fumi tossici immessi in atmosfera. La soluzione al problema «smaltimento rifiuti» esiste ed è già concretamente attuata: ben 8 milioni di cittadini italiani praticano la raccolta porta a porta con tariffa puntuale, ovvero la separazione dell’organico per fare un compost di qualità e la differenziazione spinta di carta, vetro, plastiche, lattine, eccetera. Con questo sistema il 75-80% dei materiali viene recuperato e riavviato alle filiere produttive e il 25-30% di residuo può essere trattato con metodi che non comportano particolari emissioni nocive, con produzione di materiale inerte che può essere stoccato o utilizzato senza pericoli (a differenza delle ceneri residue dell’incenerimento). Dove è praticato, il sistema porta a porta ha determinato una riduzione della produzione dei rifiuti del 2% circa ogni anno (obiettivo prioritario dell’UE e dichiarato dal nostro Paese), maggiore occupazione, diminuzione dei costi di gestione e quindi riduzione della tariffa a carico dell’utente.

La normativa del tutto illegittima (già sanzionata dall’UE) per cui in Italia i rifiuti sono considerati fonte rinnovabile di energia, fa sì che oltre l’80% delle risorse da destinare alle fonti rinnovabili (pagate dagli utenti col 7% delle bollette ENEL) vada a chi costruisce impianti a biomasse e inceneritori. Nel 2006, per esempio, tali impianti hanno assorbito ben 1.135.911.334 euro su 1.758.131.281 euro totali di tali fondi (Assoambiente prot.n p59930).

In Italia sostanze prima classificate addirittura come tossico-nocive sono state considerate fonti assimilate alle rinnovabili e, come combustibili, usufruiscono dei medesimi incentivi, per cui, sempre nel 2006, ben 2.179.884.346 euro sono stati loro destinati (Assoambiente prot.n.p59930). Dai dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite a esso connesse (doc. XXIII n. 47, approvato dalla Camera il 25 ottobre 2000) si evince che «la gestione illecita riguarda una quota [...] superiore al 30% che equivale [...] a oltre 35 milioni di tonnellate di rifiuti (soprattutto speciali) smaltite in maniera illecita o criminale ogni anno», ma anche che, purtroppo, «non è solo la criminalità organizzata a operare in modo illegale [...] Ad alimentare il mercato illecito sono anche industrie a rilevanza nazionale e internazionale, comprese aziende a rilevante partecipazione di capitale pubblico».

Gli impianti d’incenerimento, qualunque sia la tipologia adottata (a griglia, a letto fluido, a tamburo rotante) e qualunque sia il materiale destinato alla combustione (rifiuti solidi urbani, rifiuti tossici, ospedalieri, industriali, eccetera), producono diverse migliaia di sostanze inquinanti, di cui solo il 10-20% è conosciuto; la loro formazione dipende, oltre che dal materiale combusto, dalle temperature raggiunte e dalla mescolanza assolutamente casuale delle sostanze nei forni. Sotto questo aspetto i più pericolosi sono proprio i rifiuti solidi urbani (RSU), per l’estrema eterogeneità che li caratterizza. Fra gli inquinanti emessi dagli inceneritori si annoverano numerose sostanze chimiche persistenti, bioaccumulabili, di- verse delle quali già classificate nel gruppo 1 (cancerogeni certi per l’uomo) dalla IARC. Le principali categorie di inquinanti sono: particolato fine e ultrafine, ossidi di azoto, zolfo e carbonio, composti organici volatili, metalli pesanti e diossine. Proprio i metalli pesanti e le diossine (come altri numerosi endocrin disruptor emessi) sono diventati ormai gli inquinanti «simbolo» degli inceneritori.

Il termine «termovalorizzatore», con cui questi impianti sono chiamati in Italia, è fuorviante e utile solo a renderli più accettabili da un punto di vista mediatico. La giusta dizione potrebbe essere «impianti di incenerimento con recupero energetico»: il rendimento in termini di kilowattora è infatti molto basso, ma estremamente remunerativo per il produttore in quanto, essendo considerata energia da «fonte rinnovabile», viene pagata il triplo dal gestore della rete. Quanto esposto rende a nostro avviso evidente che intorno all’«universo rifiuti» ruotano interessi economici enormi, in buona parte illeciti (ma non solo), che rendono ragione della forte e diffusa avversità a risolvere il problema alla radice, ossia a non considerare più i rifiuti materiale da distruggere, ma risorsa da recuperare e rimettere nel circuito produttivo. Purtroppo, l’avversione a imboccare una strada «virtuosa» e l’ostinazione nel privilegiare l’incenerimento hanno costi economici altissimi, non solo per la gestione degli impianti, ma anche, soprattutto, per la salute umana – come già è dimostrato dalla numerosa letteratura al riguardo.

 

Inceneritori e salute umana

 

Sono decine gli studi epidemiologici condotti per indagare le ricadute sulla salute delle popolazioni residenti intorno agli inceneritori che, nonostante le diverse metodologie di studio applicate, i molti fattori di confondimento e le diverse tipologie degli impianti, hanno rilevato numerosi effetti avversi sulla salute, neoplastici e non. Tra questi ultimi, i più segnalati sono: incremento dei nati femmine e parti gemellari, incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, diabete, patologie cerebrovascolari, ischemiche cardiache, problemi comportamentali, tosse persistente, bronchiti, allergie, BOP, disturbi nei bambini quali difficoltà di respiro, mal di testa, disturbi di stomaco, stanchezza. Ancor più numerose e statistica- mente significative sono le evidenze emerse sul cancro. La revisione di 46 studi pubblicata sugli Annali dell’Istituto superiore di sanità nel 2004 riporta un incremento statistica- mente significativo nei 2/3 degli studi che hanno analizzato incidenza, prevalenza, mortalità per cancro (in particolare cancro al polmone, linfomi non Hodgkin, sarcomi, neoplasie infantili). Vengono segnalati anche aumenti di cancro al fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella.2 Nell’indagine francese del 2006 (Etude d’incidence des cancers à proximité des usines d’incenèration d’ordures mé- nagèrer) condotta dall’Invs – Departement Santè Environnement su 135.567 casi di cancro insorti negli anni 1990-99 su 25.000.000 persone/anno residenti in prossimità di inceneritori, si registra, passando dal minore al maggior livello di esposizione, un aumento statisticamente significativo di rischio per tutti i cancri nelle donne, cancro alla mammella, linfomi, tumori al fegato e sarcomi.3

Da numerose segnalazioni proprio i sarcomi vengono ritenuti patologie «sentinella» del multiforme inquinamento prodotto da impianti di incenerimento e sono stati correlati in particolare all’esposizione a diossine. Il recente studio sui sarcomi in provincia di Venezia dimostra un rischio di sviluppare la malattia 3,3 volte più alto fra i soggetti con più lungo periodo e più alto livello di esposizione.4

 

Lo studio Enhance Health

 

Si tratta di uno studio finanziato dalla Comunità europea nell’ambito del Progetto Interreg IIIC, presentato in conferenza stampa nel marzo 2007 a Forlì, i cui obiettivi erano:

I dare una visione globale del possibile impatto sulla salute in aree ove sono ubicati inceneritori, attraverso studi pilota; I sintetizzare i risultati dei tre studi pilota condotti nelle vicinanze di inceneritori in Ungheria, Italia, Polonia (di quest’ultimo non sono riportati dati in quanto l’impianto non è ancora attivo);

I fornire spunti valutativi per l’implementazione di un sistema di sorveglianza integrato (ambientale e sanitario) i cui elementi fondanti vengono individuati nel monitoraggio dello stato di salute con dati di mortalità e morbilità e nel monitoraggio dell’inquinamento dell’aria.

Nel Report1 sono disponibili i dati relativi alle indagini effettuate in Ungheria e in Italia e non mancano, a nostro avviso in entrambe, elementi di preoccupazione. L’impressione che ne scaturisce, invece, è che le informazioni che di volta in volta potrebbero apparire per lo meno inquietanti, vengano poi immediatamente smentite, attenuate o corrette con intento tranquillizzante.

Purtroppo le metodologie usate nei due Paesi sono state diverse e questo rende i risultati non confrontabili fra loro, in palese contraddizione con le premesse, che letteralmente recitano: «il partner Ungherese, il partner Polacco, l’ARPA e l’AUSL per l’Italia, hanno condotto l’attività di sperimentazione assicurando la comparabilità dei risultati al fine di garantire la «trasferibilità» nonché correttezza scientifica del progetto». Per quanto riguarda l’Ungheria, i risultati emersi nei pressi di Dorog, dove è presente un inceneritore per rifiuti tossici che dal 1980 al 1996 ha trattato 30.000 ton/anno, mostra- no aumenti statisticamente significativi di SMR:I nel sesso maschile, +38% per cancro al colon-retto, +65%per eventi cardiaci, +35% per eventi cerebro-vascolari, +42% per malattie polmonari croniche; I nel sesso femminile +49% per eventi cerebrovascolari. Particolarmente significativa è anche la mortalità per patologie polmonari croniche, in cui è evidente il progressivo incremento in funzione della distanza, fino a 15 km dall’impianto, e la morbilità infantile, che mostra un incremento di problemi delle alte e basse vie respiratorie, di bronchiti e polmoniti, in funzione dei livelli sia di PM 10, sia di monossido di carbonio. Al capitolo «Risultati» gli autori riconoscono quindi che lo studio ungherese «evidenzia alcuni effetti sulla salute», ma dichiarano l’impossibilità di stabilire un nesso causale per la presenza di altre fonti d’inquinamento nelle vicinanze; ciò che appare singolare è che si sia privilegiato un metodo di indagine non in grado di discriminarne gli effetti delle diverse fonti, pur essendone preliminarmente nota l’esistenza. Ancor più interessanti (e se vogliamo inquietanti) sono le osservazioni che si possono fare per lo studio condotto nel quartiere di Coriano a Forli (CF), ove sono attivi due impianti: uno per rifiuti ospedalieri e uno per RSU. L’indagine condotta con metodo informativo geografico (GIS) ha riguarda- to l’esposizione a metalli pesanti, stimata con un modello ma- tematico, della popolazione residente per almeno 5 anni entro un’area di raggio di 3,5 km dagli impianti. Eccessi statisticamente significativi sono emersi per il sesso femminile: in particolare si è registrato un aumento del rischio di morte per tutte le cause correlato alla esposizione a metalli pesanti tra il +7% e il +17%. La mortalità per tutti tumori aumenta nella medesima popolazione in modo coerente con l’aumento dell’esposizione da +17% a +54%. In particolare, per il cancro del colon-retto, il rischio è compreso tra +32% e +147%, per lo stomaco tra +75% e +188%, per il cancro della mammella tra +10% e +116% . Questa stima appare particolarmente drammatica perché si basa su un ampio numero di casi (358 decessi per cancro tra le donne esposte e 166 tra le non esposte) osservati solo nel periodo 1990-2003 e solo tra le donne residenti per almeno 5 anni nell’area inquinata. Questi risultati potrebbero essere ancora di maggiore rilievo, qualora la popolazione di riferimento fosse realmente non esposta: infatti, il livello minimo di esposizione preso come riferimento corrisponde a una ricaduta stimata dei metalli pesanti compresa tra 0,61 e 1,9 ng/m3, valore certo non nullo né trascurabile. Pertanto appaiono davvero singolari le conclusioni dell’indagine, in cui letteralmente si afferma: «lo studio epidemiologico dell’area di CF nell’analisi dell’intera coorte per livelli di esposizione ambientale potenzialmente attribuibili agli impianti d’incenerimento (tracciante metalli pesanti) con aggiustamento per livello socioeconomico della popolazione, non mostra eccessi di mortalità generale e d’incidenza di tutti i tumori». Ancora una volta quindi si tende, considerando unitamente il sesso maschile (in cui non si registrano eccessi) e il sesso femminile, a diluire quanto emerso, anche se gli stessi estensori del Report più avanti affermano che: «tuttavia, analizzando le singole cause, sono stati riscontrati alcuni eccessi di mortalità e incidenza da considerare con maggior attenzione. Infatti, è stato riscontrato nelle donne un eccesso di mortalità per tumori dello stomaco, colon retto mammella e tutti i tumori». A nostro parere, invece, i risultati che scaturiscono dall’indagine Enhance Health, in particolare da quella relativa a Forlì, sono perfettamente in linea con i rischi segnalati dai numerosi studi già prima menzionati. 

 

Conclusioni

Quando anche, per assurdo, nessuno studio epidemiologico avesse evidenziato ricadute sulla salute umana, il solo fatto che gli impianti d’incenerimento emettono un gran numero di inquinanti pericolosi e persistenti rende a nostro avviso moralmente inaccettabile continuare a esporre le popolazioni a rischi assolutamente evitabili, date le concrete alternative esistenti. Il perseverare con indagini epidemiologiche, che difficilmente porteranno a conclusioni esaustive, sotto questo avviso appare fuorviante. Quando si rilevano poi attorno a un inceneritore incrementi di una serie di patologie, e tra queste un aumento di sarcomi, è ben difficile – dopo lo studio di Zambon-Ricci –4 sostenere, appellandosi a fattori di confondimento, che l’inceneritore non abbia prodotto una grave alterazione dell’ambiente, tale da compromettere lo stato di salute generale della popolazione.

Non tutti siamo epidemiologi di professione, ma tutti siamo medici che, pur con diverse competenze, hanno a cuore la salute pubblica e si riconoscono a pieno titolo nell’articolo 5 del Codice deontologico che ci impegna a «promuovere una cultura civile tesa all’utilizzo appropriato del- le risorse naturali anche allo scopo di garantire alle future generazioni un ambiente vivibile». Per questo non possiamo non essere al fianco delle popolazioni che oggi, come a suo tempo i lavoratori hanno fatto nelle fabbriche, stanno difendendo la propria salute e la salvaguardia del proprio luogo di vita. Non vorremmo che si perdesse una altra buona occasione di fare prevenzione primaria e si lasciasse di fatto alla sola magistratura il compito di tutelare il diritto alla salute.

24 agosto 2007

Autori: Federico Bartolini (medico di medicina generale), Michelangiolo Bolognini (igienista), Ernesto Burgio (pediatra), Francesca Cigala (psichiatra), Michela Franchini (epidemiologa), Gabriella Filippazzo (epidemiologo), Andrea Galassi (medico di medicina generale), Massimo Generoso (pediatra), Valerio Gennaro (epidemiologo e oncologo), Patrizia Gentilini (onco- ematologa), Ferdinando Laghi (internista), Antonio Marfella (oncologo e radiologo), Vincenzo Migaleddu (radiologo), Celestino Panizza (medico del lavoro), Maria Grazia Petronio (igienista), Liliana Pittini (ginecologa), Roberta Raffelli (ginecolo- ga), Giancarlo Rasconi (medico del lavoro), Ruggero Ridolfi (oncologo ed endocrinologo), Antonella Romanini (oncologa), Roberto Romizi (Associazione medici per l’ambiente Italia), Danila Rosetti (medico di medicina generale), Giuseppe Timoncini (pediatra), Lorenzo Tomatis (IARC; Comitato interna- zionale, Associazione medici per l’ambiente),Bruno Tonelli (medi- co di medicina generale), Giovanni Vantaggi (medico di medicina generale), Valerio Vicentini (neurologo).

Bibliografia

1. Report finale Progetto Europeo “Enhance Health” – Interreg IIIC East Program, consultabile su: http:/www.alessandroronchi.net/ files/relazione_ enhance_ health.pdf

2. Franchini, M. et al. Health effects of exposure to waste inci- nerator emissions: a review of epidemiological studies. Ann Ist Sup San 2004.

3. Institut de Veille Sanitaire – Etude d’incidence des cancers à proximité des usines d’incinération d’ordure ménagères, http:/www.invs.sante.fr/publications/2006.

4. Zambon P. et al. Sarcoma risk and dioxin emissions from in- cinerators and industrial plants: a population based case-con- trol study (Italy). Environmental Health 2007 (in press). 


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