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Il Sole 24 Ore e le popolari venete che "scottano"

Di Rassegna Stampa Sabato 1 Agosto 2015 alle 20:56 | 0 commenti

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Su Veneto Banca pende un decreto ingiuntivo presentato nei giorni scorsi al tribunale di Treviso da un battagliero avvocato locale Carlo Emilio Esini. Vuole soldi l’avvocato? No. Vuole il libro soci. E vuole vederci chiaro: sui movimenti degli azionisti in prossimità della svalutazione. Per capire chi sia riuscito a vendere i titoli ai valori precedenti alla svalutazione e chi li abbia comprati.

Nel frattempo a Vicenza si attende il prossimo martedì: avrà luogo un consiglio di amministrazione che, oltre a licenziare una semestrale dalle tinte non certo sgargianti, potrebbe recepire le contestazioni della Bce, dopo la lunga ispezione della Joint supervisory team della vigilanza di Francoforte, contenute in una dura lettera di cui da settimane si vocifera l’esistenza.
Sempre più insistentemente per entrambe le banche si parla di una quotazione in Borsa e di aumenti di capitale monstre che dovrebbero sostenere i loro conti. Si dice che la quotazione dovrebbe finalmente consentire a ogni socio pari opportunità di cedere i titoli sul mercato o di acquistarli. Ma di sicuro case di rating e analisti concordano sul fatto che a fronte dei numeri delle altre banche quotate in Borsa, i titoli dei due istituti veneti sono a 1,2 volte il patrimonio netto: un valore significativamente più elevato rispetto ai comparables. E questo potrebbe comportare ulteriori limature di valore. Il tutto non certo a vantaggio dei vecchi soci ma di possibili acquirenti/scalatori.
Sulla illiquidità dei titoli sono andati in crisi due istituti e due leader. Gianni Zonin è sinonimo di Banca Popolare di Vicenza così come Vincenzo Consoli (in uscita) lo era di VenetoBanca. Due diversi modi di navigare con la medesima visione accentratrice del comando. Il primo, cacciatore e anfitrione di potenti nelle sue tenute, è noto (e temuto) come un «divoratore» di manager: tanti ne ha assunti, molti ne ha allontanati. Il secondo ha trovato in Flavio Trinca (ex presidente) una solida sponda per trasformare una piccola popolare (la Asolo e Montebelluna) in un colosso da 523 sportelli in Italia e 64 all’estero con ramificate presenze in Albania, Croazia, Moldavia e Romania. Zonin, forse anche per il core business di famiglia, si è mostrato più avvezzo all’espansione interna: tra la controllata trapanese Banca Nuova e Far Banca gli sportelli del gruppo Bpvi, sono 654. Oggi sia Zonin sia Consoli sono alle prese con un problema spinoso. L’attribuzione di un valore congruo alle rispettive azioni che non sono quotate in Borsa ma che sono state distribuite a pioggia in tutto il Nord Est. C’è chi dice per affezione e chi dice per forza («Vuoi un fido? Compra azioni»). Sistema che poteva reggere sino a quando il sistema era «autoimmune». Ma ora che a comandare c’è l’Eurotower, quel «familismo amorale», un po’ latifondista, un po’ «volemose bene» ha dovuto lasciare necessariamente il posto all’Europa dei fogli Excel e dei parametri.
Non è un caso che, all’indomani degli stress test imposti da Francoforte, entrambi i titoli abbiano subìto una drastica svalutazione: per BpVi si è passati da 62,5 euro a 48 euro. Per Veneto Banca da 39,5 a 30,5. Una botta. Che nessuno ha digerito bene. Anche perché nei mesi precedenti molte e perlopiù inevase erano state le richieste di liquidazione di soci non più convinti dell’inossidabilità di quei titoli paragonati in più di una circostanza ad «appartamenti a Cortina». 
di Stefano Elli da Il Sole 24 Ore
 
I soci BPVi delusi cercano di difendersi
Alle prese con una svolta dolorosa, i circa 117mila soci della Popolare di Vicenza stanno faticosamente realizzando la perdita di valore legata al possesso di un titolo non quotato.
Purtroppo la tutela del risparmio passa anche dagli insegnamenti di qualche brutta botta. Sebbene il rischio di illiquidità del titolo sia stato segnalato da anni, la reazione è tipica di chi è stato colto di sorpresa.
Sgomento che attraversa anche i dipendenti e dirigenti (quasi sempre soci) che si ritrovano in una banca alle prese con aumenti di capitale, cambio del management con i relativi mal di pancia nei singoli uffici e tanto malessere giustificato dei soci-clienti. Molti di questi sono imprenditori, artigiani, professionisti di successo.
Le reazioni avviate sono un po’ isolate: chi si è messo in mano a legali ma i tempi della giustizia sono lunghi, chi cerca una via d’uscita nelle pieghe dello statuto (vedi box), altri manifestano malessere in privato e cercano l’appoggio del mondo politico. Non c’è ancora un’associazione dei soci, in città le forze politiche (salvo il movimento 5Stelle) sono prese da altri argomenti, l’arrabbiatura prevale sulle contromosse tecniche.
Tutte le strade di difesa del valore dell’investimento sembrano però convergere sul “pesare di più” anche in un’assemblea che, a oggi, è ancora di banca popolare quindi con il voto per testa. Può votare solo chi è iscritto al libro soci da almeno 90 giorni. È anche una questione di numeri. Vediamoli.
Nell’ultima assemblea di bilancio – con nervosismo in giro per le perdite di valore del titolo – all’inizio dei lavori erano presenti fisicamente 3.416 soci e altri 1.372 per delega. Un totale di 4.788 voti.
Il dibattito e la partecipazione furono intensi per tutta la mattinata, con diversi passaggi sulla liquidabilità dell’investimento, fino alle diverse sessioni di voto dove, fra voti contrari e astenuti, l’opposizione rimase intorno alle 200 unità. All’interno della compagine azionaria si muove un gruppo di soci provenienti da Prato che esprime posizioni critiche.
Rispetto a quell’assemblea il clima a Vicenza è più teso. In questi mesi è cambiato l’amministratore delegato e alcuni vertici. In vista ci sono aumento di capitale e trasformazione in Spa. 
di Paolo Zucca da Il Sole 24 Ore 


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