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Cifre, accoglienza e parole sui migranti. Emergenza?

Di Rassegna Stampa Domenica 21 Giugno 2015 alle 16:14 | 0 commenti

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Il dibattito sull'immigrazione che infuria sui mezzi di informazione e sui social network si basa spesso su dati e termini non corretti. Ma quali sono i numeri reali del fenomeno in questo periodo? Chi sopporta davvero il peso dell'ospitalità? E quali definizioni è più giusto utilizzare?

Gli sbarchi dei profughi raccontati come emergenza e il rifiuto delle regioni del nord - Lombardia, Veneto, Liguria e Valle d'Aosta - di accoglierli.

Una questione complessa e molto delicata, anche dal punto di vista terminologico. Cerchiamo di fare chiarezza sui nodi più dibattuti sui giornali e sui social network. 

QUALE EMERGENZA?
Sono in totale 52.500 le persone arrivate sulle coste italiane dall’inizio dell’anno ad oggi. Di queste, 20.500 sono state soccorse solo nell’ultimo mese. Il dato risulta in aumento rispetto allo scorso anno: a fine maggio del 2014, infatti, gli sbarchi avevano coinvolto 41.200 persone. Tuttavia, l’Unhcr invita a non parlare di “emergenza immigrazione” nel nostro paese. “I dati che abbiamo registrano un incremento. Va detto, però, che solo negli ultimi giorni sono arrivate 6 mila persone – spiega Federico Fossi - Si tratta dunque di numeri molto variabili, sappiamo inoltre che maggio e luglio sono i mesi dove si registra il maggior numero di arrivi, è presto per ragionare sui dati complessivi. Anche perché abbiamo avuto anche mesi molto calmi". "Non creiamo allarmismo - aggiunge Fossi - i dati per ora sono sostanzialmente in linea con lo scorso anno. Come sappiamo l’immigrazione in Italia è ormai un fenomeno strutturale, non si può parlare di emergenza”. La vera emergenza è in Grecia, dove i migranti soccorsi e sbarcati sono stati 42 mila dall’inizio dell’anno, il 400 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2014 (quando erano stati 6 mila). 

IL PESO DELL'ACCOGLIENZA
"I presidenti di Lombardia, Veneto e Liguria minacciano di adottare misure che non rientrano tra le loro disponibilità: le regioni, infatti, non hanno competenza diretta in materia di immigrazione, e non spetta ad esse decidere a chi dare o meno le risorse necessarie per l'accoglienza, in quanto, come è noto, i fondi europei e nazionali, destinati ai profughi, fanno capo al ministero dell'Interno", spiegano Luigi Manconi e Riccardo Mazzoni, presidente e vicepresidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. "Un altro dato va sottolineato: in questo momento un terzo dei migranti accolti in Italia, minori esclusi, si trova in Sicilia e nel Lazio. Queste due regioni ospitano rispettivamente il 22% e il 12% del numero complessivo che è pari a 73.883. Tra le grandi regioni del Nord il Veneto è quella che ospita meno persone: appena il 4%". 
A fare chiarezza sui dati ci aiuta anche Maurizio Ambrosini, sociologo dell'università di Milano, in un articolo pubblicato da Lavoce.info. "Lombardia, Veneto, Liguria e Valle d’Aosta hanno ragione di lamentare un sovraccarico di richiedenti asilo?", si chiede Ambrosini. Secondo i dati ricavati dal ministero dell'Interno non parrebbe: la Lombardia ospita nei centri di accoglienza (o in altre strutture temporanee) 60 profughi ogni 100 mila abitanti, il Veneto 50, la Liguria 80, la Valle d’Aosta 50. Fanno molto di più le regioni del Sud: la Sicilia, prima in valore assoluto, ha nei centri di accoglienza 270 profughi ogni 100 mila abitanti, la Calabria 240, il Lazio 140. 

ITALIA PAESE DI TRANSITO
Secondo il rapporto del Centro Astalli, aumentano le domande di asilo in Italia, ma tra le persone che arrivano nel nostro paese, sono in tanti quelli che decidono di continuare il viaggio verso i paesi del Nord. In tutto, le domande presentate nel 2014 sono state 64.886, con un incremento del 143 per cento rispetto all'anno precedente. Tra le nazionalità maggiormente rappresentate non compaiono però né la Siria, né l’Eritrea, che sono, invece, i primi due paesi di origine dei 170.757 migranti arrivati in Italia via mare lo scorso anno (rispettivamente 39.651 e 33.559 persone). Quelle più rappresentate sono invece Afghanistan, Mali, Guinea e i paesi dell’Africa subsahariana. Anche nel 2014, dunque, molti migranti forzati hanno deciso di proseguire il loro percorso verso il nord Europa. 

"CLANDESTINO" E ALTRE PAROLE
Basta andare sul profilo twitter di Matteo Salvini per vedere quanto frequentemente sia usato il termine "clandestino". "Posso chiedervi un favore? Non chiamiamoli MIGRANTI o profughi. Chiamiamoli, perché tali sono fino a prova contraria, ", "Risorse siano destinate a esodati e italiani in difficoltà, non a #clandestini o a quei #rom che scelgono l'illegalità", scrive il leader della Lega. Ma sulle parole bisogna fare molta attenzione, specialmente in una materia come quella dell'immigrazione dove è facile confonderle.

Per fare un po' di ordine si può consultare la guida Parlare civile. La parola "clandestino" si è diffusa nell’uso comune dopo essere apparsa in maniera quasi ossessiva sui giornali e nelle dichiarazioni dei politici per indicare lo straniero che entra o soggiorna in un paese in violazione delle leggi sull'immigrazione. Non corrisponde ad alcuna condizione giuridica. In Italia il termine clandestino fa riferimento soprattutto agli overstayers, ossia a tutti quegli stranieri che, entrati nel paese regolarmente, restano dopo la scadenza del visto o dell'autorizzazione al soggiorno, anche se, in tal caso, il termine esatto è migrante irregolare. Clandestino non ha equivalente a livello internazionale.

La stessa guida specifica poi che l’immigrato è “chi si è trasferito in un altro paese” o anche “chi si è stabilito temporaneamente o definitivamente per ragioni di lavoro in un territorio diverso da quello d’origine”. Il rifugiato è la persona alla quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico. Spesso il concetto di rifugiato viene confuso con quello di profugo, termine usato per indicare genericamente chi si è allontanato dal paese di origine per le persecuzioni o per una guerra.

Richiedente asilo è colui che si trova al di fuori dei confini del proprio paese e presenta una domanda per l’ottenimento dello status di rifugiato politico. 

Sfollato è chi è stato costretto a fuggire dal proprio luogo di residenza abituale in seguito a situazioni di conflitto armato, violenza generalizzata, violazioni dei diritti umani o disastri umanitari e ambientali e che non ha attraversato confini internazionali.

da RedattoreSociale.it

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