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Chiusura Mcs: l'eredità Marzotto che nessuno ricorda

Di Pietro Rossi Venerdi 19 Giugno 2015 alle 09:37 | 0 commenti

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Impossibile riassumere in poche righe la storia della famiglia Marzotto, "La Dynasty di Valdagno" come racconta Simone Filippetti nel capitolo del suo libro "Serenissimi affari. I veneti in Borsa tra splendore e declino". Ma fa un po' pensare che sindacati e politici, reagendo alla notizia dell'abbandono delle fabbriche di Maglio di Sopra (ex Marzotto e ora Mcs) che saranno chiuse con il rischio di lasciare a casa un centinaio di dipendenti, si siano dimenticati che quella storia inizia proprio dai Marzotto.

Gli stessi Marzotto il cui rampollo siede alla presidenza della Fiera di Vicenza e si fa paladino difensore dell'imprenditoria veneta. Forse il senatore del Pd Ginato, che alza gli strali contro la proprietà - un private equity con base a Londra - non sa che la Mcs è stata venduta dalla Marzotto con un notevole guadagno? E che la missione dei private equity è proprio quella di "salvare" aziende in crisi con lo scopo, neanche tanto sospetto, di passare dalla produzione alla finanza? E non lo sanno i sindacalisti che pensano che la proprietà di Marzotto risalisse a tanti anni fa? O forse lo sanno ma certe scelte sindacali del passato, nel nome del meno peggio che si è trasformato nel "peggio di così" magari pesano sulla coscienza? La risposta, forse, sta proprio in quelle righe scritte da Paolo Madron a prefazione del libro di Filippetti: "quello che ha scelto di raccontare l'autore resta comunque un Veneto industriale privilegiato, e per almeno due motivi: ha potuto trovare sui mercati borsistici capitali decisivi per il suo sviluppo, e ha sempre avuto a che fare con un sistema bancario che non gli ha mai chiuso i rubinetti, anche quando si trattava di contribuire a pesanti piani di ristrutturazione, non importa se lo faceva non certo per filantropia ma per salvaguardare i suoi crediti".
La storia inizia con l'acquisto da parte del Gruppo Marzotto, nel 2002 per 190 milioni di euro, della casa di moda Valentino che nel 2005 finisce nella Valentino Fashion Group. Ci finisce perché quell'anno è l'anno della scissione del Gruppo Marzotto tra tessile e moda, a causa del perdurare di una celebre guerra intestina tra due rami della famiglia e per favorire i giochi di quotazione in borsa. La Valentino Group raggruppa tutti i marchi di abbigliamento del Gruppo Marzotto, tra i quali alcuni importanti licenze quali M Missoni e MCS Marlboro, comprate tra gli anni 80 e 90, durante la discesa in campo dei Marzotto alla corte della moda. Nel 2007 la crisi del settore si fa però sentire sempre più pesantemente e il Gruppo Marzotto, forte di appoggi bancari, si tuffa nella girandola dei fondi di private equity che a quel tempo governano il mercato.
È così che, conseguentemente all'opa promossa nel secondo semestre del 2007, Valentino Fashion Group passa sotto il controllo del fondo di private equity Permira con un operazione da 200 milioni di euro. L'azione scatta l'11 luglio 2012 quando "Mayhoola for Investments2, sostenuto da un importante gruppo privato del Qatar, acquisisce per 700 milioni di euro il marchio Valentino Spa e la licenza di M-Missoni attraverso la società "cassaforte" Red & Black, indirettamente controllata dai fondi Permira in partnership con la famiglia Marzotto (che detiene il 20%). Per i "reali" di Valdagno è un colpo grosso: c'è un guadagno di centinaia di milioni di euro. Ma quell'operazione costa anche dei guai giudiziari alla famiglia, accusata di presunta evasione fiscale per aver fatto la transizione alla Cayman. Il processo, per il rampollo di famiglia Matteo Marzotto - che non ha patteggiato come i parenti  e si è sempre dichiarato innocente - è ancora in corso.
Ma torniamo a MCS Marlboro Classics. Quel marchio - comunque di moda "bassa" - resta sotto la proprietà di Red & Black, e quindi anche di Marzotto, fino a quando, nel 2012, comincia a perdere colpi in termini di ordinativi, circa il 15% rispetto l'anno precedente. Siamo in piena crisi, anche dei capi griffati, e la moda di taglio basso è comunque troppo costosa nel mercato italiano. Con lungimiranza e dopo aver realizzato grassi profitti, la Marzotto - dopo Valentino - è praticamente fuori dal settore moda che sta perdendo vertiginosamente la produzione in Italia e il cui l'unico mercato ancora un po' appetibile è nel retail. L'occasione per fare ancora un po' di cassa arriva con il private equity inglese Emerisque Brands al quale fondo Permira e famiglia Marzotto cedono la MCS. L'importo della transazione non è noto, ma si parla anche qui di un notevole ricavo, che paga il fiuto degli imprenditori di Valdagno. I quali, a quel punto, se ne lavano le mani. L'Emerisque, infatti è specializzata nell'acquisto di aziende in difficoltà e possiede i capitali sufficienti per rilevarle e poi trasformarne il modello industriale. È la legge del mercato, non quella della ricchezza industriale del territorio da preservare magari con altre azioni più vicine al tessuto sociale.
La transazione avviene con Cavaliere Holdings, veicolo che fa capo a Emerisque, e, naturalmente, con Red and Black. Mcs fa gola perché a livello mondiale ha una rete di distribuzione che conta oltre 1.400 punti vendita, inclusi 300 negozi monobrand. E quello dei negozi è proprio il core business di Emerisque Italia Group (EIG) che fa parte del Gruppo Emerisque Brands, il maggiore gruppo di sportswear di lusso a prezzi accessibili con sede in Italia. EIG è stato costituito a seguito di due operazioni effettuate dal Gruppo nel 2013. La prima è appunto l'acquisizione di MCS Italia SpA, la seconda con l'acquisizione dal Gruppo Moncler dei marchi Marina Yachting, Henry Cotton's e Coast Weber Ahaus, unitamente alla licenza 18CRR81 Cerruti. I marchi EIG sono particolarmente radicati in Italia, Europa Occidentale ed Orientale, Russia e Asia. La sede di EIG è a Mestre e la "mente" si chiama Massimo Gasparini, rappresentante italiano di Emerisque. Uomo di fiducia del maggiore azionista del gruppo - l'imprenditore indiano Ajay Khaitan - Gasparini è presidente non esecutivo di entrambe le società appena acquistate.
Le scelte strategiche sono quelle della macchina da soldi. La EIG apre punti vendita su punti vendita e si concentra sull'abbigliamento uomo, eliminando quello femminile. Lo scopo è chiudere l'anno con 100 milioni di euro di fatturato. Il gioco sembra replicare quello fatto con l'altra acquisizione, la Industries Sportswear Company (ISC) dei marchi Henry Cotton's, Marina Yachting, Coast+Weber+Ahaus e la licenza 18CRR81 Cerruti. Azienda scorporata dalla Moncler - la famosa azienda francese del piumino acquistato nel 2003 dell'imprenditore Remo Ruffini - allo scopo di favorire l'approdo in borsa, la ISC non naviga in buone acque. Il gioco della EIG è chiaro: comprare da aziende venete "a rischio" che progettavano e gestivano la logistica per passare a un modello che prevede l'esternalizzazione per realizzare i capi e il ritiro del prodotto (quasi) finito da distribuire nei punti vendita. Il sospetto, però, è che lo scopo sia quello della transazione economica dei marchi, venduti spezzettati. La produzione passa in secondo piano rispetto ai brand che Emerisque si accaparra per poi giocarseli in un mercato che ha una struttura di vendita capillare.
In tutto questo i lavoratori sembrano destinati al sacrificio. Ad Aprile 2014 la nuova direzione di ISC ha comunicato 127 esuberi su un totale di 306 dipendenti della ex Moncler, mentre il marchio raggiungeva l'apice del successo. Sulla Mcs, già nel 2013, la proprietà aveva invece annunciato 99 esuberi con il taglio di alcune linee di produzione e la deocalizzazione dei settori commerciali, export, operations e finanza. Scioperi, proteste e incontri con il ministero del lavoro avevano scongiurato quel provvedimento che in realtà è stato solo congelato. L'altro passo, quello che riguarda la Mcs, è infatti di ieri, con la decisione di accorpare gli stabilimenti a Mestre e la conseguente chiusura dell'unità di Valdagno, con il "sacrificio" di 101 dipendenti. Vittime del lusso accessibile, che è la strategia di Emerisque per una moda da proporre sui mercati emergenti. In questo core-business in Italia serve solo la testa e lo sfoltimento viene fatto chirurgicamente e a piccoli passi. Si "guarisce" l'azienda che i lungimiranti, per quanto riguarda il profitto, imprenditori italiani non sono riusciti a gestire e si interviene sul personale. Si assicura la cassa integrazione, si procede all'assorbimento di chi serve, etc etc..Si rilancia il marchio che era messo male, ma lo si fa con un processo lungo e, soprattutto, con una fine dubbia del Made in Italy. Quel Made in Italy sbandierato al mondo da Matteo Marzotto, figlio di un impero che ha fatto la storia della vallata come quei stabilimenti di Maglio di Sopra che verranno chiusi. Per il Gruppo Marzotto sarà anche un dispiacere, ma c'è il sospetto che in qualche modo si siano consolati.


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