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BPVi e VB in spa, si entra nel vivo. Raffica di cause?
Domenica 14 Giugno 2015 alle 13:10 | 0 commenti
Entra nel vivo anche per le banche popolari venete la trasformazione in spa, dopo la pubblicazione giovedì sera, da parte di Banca d’Italia, della circolare 285, che detta le disposizioni attuative della legge che impone il cambio di veste giuridica alle dieci grandi popolari, tra cui le tre venete (Banco Popolare, Banca popolare di Vicenza e Veneto banca).
 Passaggio atteso, l’anello mancante (pur se l’entrata in vigore scatterà con la pubblicazione del decreto di recepimento della direttiva Crd IV) con cui ora le banche possono muoversi. Veneto Banca ha già dichiarato martedì di volerlo fare rapidamente; Banca popolare di Vicenza dovrà riprendere in mano la vicenda, dopo l’ultimo mese in stand-by trascorso a ricostruire il vertice operativo, a valle dell’uscita dell’Ad Samuele Sorato.
Tempo da perdere, a questo punto, non ce n’è più. I cda delle banche, entro 15 giorni, dovranno compiere la verifica dell’attivo, ovvero dichiarare il superamento della soglia degli 8 miliardi di euro e di rientrare nelle previsioni della riforma. Nei 90 giorni successivi, sempre i cda dovranno approvare il piano con le iniziative per farvi fronte, a partire dalla convocazione dell’assemblea soci per la trasformazione in spa. Il tutto dovrà esser approvato entro 18 mesi.
La circolare contiene poi elementi interessanti anche nello specifico veneto. Ad esempio sull’idea dello scorporo delle attività bancarie della spa da una fondazione cooperativa sovrastante lanciata dal presidente di Bpvi, Gianni Zonin, nelle prime fasi del decreto Renzi. Operazione in assoluto non vietata dalla circolare, che dichiara che saranno Bankitalia e Bce a valutarla; ma la portata viene radicalmente circoscritta, al punto forse da renderla inservibile: il punto 2 dice che la valutazione dei progetti sarà fatta «avendo riguardo al rispetto sostanziale della riforma», che ha tra i fini «la rapida ricapitalizzazione dei soggetti anche mediante l’ingresso di investitori esterni». No quindi a holding popolari con «una partecipazione totalitaria o maggioritaria nella spa bancaria, o comunque, tale da rendere possibile l’esercizio del controllo nella forma dell’influenza determinante».
L’altro aspetto decisivo è il limite al diritto di recesso, la facoltà ai soci, garantita dal Codice civile, di uscire dalla società al cambio di forma giuridica. Come atteso, la circolare stabilisce che i cda dovranno introdurre (e non c’è discrezionalità ) nello statuto la clausola che attribuisce, sempre al cda, «la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio uscente». Norma per garantire la tenuta del capitale delle banche, probabilmente tanto più necessaria per le due popolari non quotate, alle prese con la rabbia dei soci per la svalutazione di azioni di fatto non più vendibili. Dove il diritto di recesso potrebbe trasformarsi in una pericolosissima via di fuga.
Ma proprio per questo la riforma rischia, con il blocco, di esasperare ulteriormente il rapporto soci-banche, che tra l’altro saranno i soggetti che approveranno formalmente lo stop al recesso. E il tutto potrebbe fornire un’ulteriore arma agli avvocati già impegnati nelle cause degli azionisti. «Temo proprio di sì - dice Giovanni Schiavon, l’ex presidente del tribunale di Treviso e ora leader dell’Associazione azionisti di Veneto Banca, che si appresta a spigare ai soci la circolare sul sito dell’associazione -. Ho parecchi dubbi sulla tenuta costituzionale della norma. Proprio per questo vedo rischi di ulteriori cause». Il percorso è semplice da immaginare: una richiesta di recesso alla banca, un no scontato, l’apertura di una causa che solleva incidentalmente la legittimità costituzionale. Con effetti immaginabili, se accolta. «La vicenda del diritto di recesso mostra come i soci siano in balia di tutti - sostiene Schiavon -. Proprio per questo non comprendo l’assenza di informazione dalla banca: in questo momento, l’unica via è il dialogo con i soci, il far capire loro che l’unica via per non perder tutto è aver la pazienza di dare all’istituto il tempo di tornare a guadagnare».
Tempo da perdere, a questo punto, non ce n’è più. I cda delle banche, entro 15 giorni, dovranno compiere la verifica dell’attivo, ovvero dichiarare il superamento della soglia degli 8 miliardi di euro e di rientrare nelle previsioni della riforma. Nei 90 giorni successivi, sempre i cda dovranno approvare il piano con le iniziative per farvi fronte, a partire dalla convocazione dell’assemblea soci per la trasformazione in spa. Il tutto dovrà esser approvato entro 18 mesi.
La circolare contiene poi elementi interessanti anche nello specifico veneto. Ad esempio sull’idea dello scorporo delle attività bancarie della spa da una fondazione cooperativa sovrastante lanciata dal presidente di Bpvi, Gianni Zonin, nelle prime fasi del decreto Renzi. Operazione in assoluto non vietata dalla circolare, che dichiara che saranno Bankitalia e Bce a valutarla; ma la portata viene radicalmente circoscritta, al punto forse da renderla inservibile: il punto 2 dice che la valutazione dei progetti sarà fatta «avendo riguardo al rispetto sostanziale della riforma», che ha tra i fini «la rapida ricapitalizzazione dei soggetti anche mediante l’ingresso di investitori esterni». No quindi a holding popolari con «una partecipazione totalitaria o maggioritaria nella spa bancaria, o comunque, tale da rendere possibile l’esercizio del controllo nella forma dell’influenza determinante».
L’altro aspetto decisivo è il limite al diritto di recesso, la facoltà ai soci, garantita dal Codice civile, di uscire dalla società al cambio di forma giuridica. Come atteso, la circolare stabilisce che i cda dovranno introdurre (e non c’è discrezionalità ) nello statuto la clausola che attribuisce, sempre al cda, «la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio uscente». Norma per garantire la tenuta del capitale delle banche, probabilmente tanto più necessaria per le due popolari non quotate, alle prese con la rabbia dei soci per la svalutazione di azioni di fatto non più vendibili. Dove il diritto di recesso potrebbe trasformarsi in una pericolosissima via di fuga.
Ma proprio per questo la riforma rischia, con il blocco, di esasperare ulteriormente il rapporto soci-banche, che tra l’altro saranno i soggetti che approveranno formalmente lo stop al recesso. E il tutto potrebbe fornire un’ulteriore arma agli avvocati già impegnati nelle cause degli azionisti. «Temo proprio di sì - dice Giovanni Schiavon, l’ex presidente del tribunale di Treviso e ora leader dell’Associazione azionisti di Veneto Banca, che si appresta a spigare ai soci la circolare sul sito dell’associazione -. Ho parecchi dubbi sulla tenuta costituzionale della norma. Proprio per questo vedo rischi di ulteriori cause». Il percorso è semplice da immaginare: una richiesta di recesso alla banca, un no scontato, l’apertura di una causa che solleva incidentalmente la legittimità costituzionale. Con effetti immaginabili, se accolta. «La vicenda del diritto di recesso mostra come i soci siano in balia di tutti - sostiene Schiavon -. Proprio per questo non comprendo l’assenza di informazione dalla banca: in questo momento, l’unica via è il dialogo con i soci, il far capire loro che l’unica via per non perder tutto è aver la pazienza di dare all’istituto il tempo di tornare a guadagnare».
di Federico Nicoletti dal Corriere del Veneto
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